Dallo sgravio Irpef per i ceti medi a una nuova rottamazione-quinquies. Fra le tante proposte per la prossima legge di bilancio, finora non c’è niente per le imprese, che dovranno incalzare l’esecutivo
La pausa estiva è terminata, si entra nella fase di preparazione della prossima legge di bilancio. Dalle anticipazioni filtrate ai media, si è già capito che ci sono due rilevanti problemi. Il primo è la coperta corta delle coperture. Il ministro Giorgetti ha già detto due volte pubblicamente che sono in troppi a chiedere misure senza guardare ai saldi di bilancio da preservare, perché bisogna invece insistere nel percorso di riduzione della spesa pubblica primaria. Il secondo problema è quello delle misure anticipate ai media. Riguardano solo le persone fisiche. Dalle richieste di Forza Italia di uno sgravio Irpef per i ceti medi, per i redditi dai 28 mila a 50 mila se non 60 mila euro, accorpandoli in un’aliquota del 33 per cento. Alle richieste della Lega di fermare una volta per tutte l’incremento periodico del criterio demografico collegato alle aspettative di vita per le pensioni di vecchiaia, stoppandolo a 64 anni, fino a una nuova rottamazione-quinquies iper agevolata sui debiti fiscali non ottemperati dei contribuenti. Si è aggiunta poi una lista di provvedimenti allo studio per i lavoratori, da una mini aliquota Irpef del 5 per cento per tutti gli aumenti retribuitivi non parametrici, mettendo insieme produttività, welfare aziendale, ferie e straordinari, fino alla bislacca idea di far scattare automaticamente le retribuzioni seguendo l’aggiornamento dell’indice IPCA, nel caso in cui non lo abbiano già fatto nei contratti di lavoro in 24 mesi. Misura bislacca: ci si dimentica che i contratti nazionali di lavoro valgono generalmente 36 mesi, e si calpesta il principio che gli accordi salariali nel privato li fanno le parti sociali, non lo stato.
Finora, dunque, niente per le imprese. Che dovranno incalzare il governo. L’ultima rilevazione Istat del 6 agosto ha continuato a registrare un calo tendenziale della produzione industriale dell’1,1 per cento nel primo semestre 2025. Con una dinamica negativa per tutti i principali settori, ad eccezione dell’energia. In primavera, alla sua Assemblea nazionale, Confindustria aveva chiesto al governo di non aspettare la legge di bilancio, per un piano straordinario industriale che andava invece avviato subito, a maggior ragione considerando i dazi di Trump. Un piano in tre grandi capitoli: revisione radicale degli incentivi a investire; interventi rapidi sull’energia; raffica di semplificazioni per ridurre i maxi oneri a carico delle imprese. Nel primo capitolo si chiedeva di riallocare subito almeno 2 miliardi dai 6,3 miliardi di Industria 5.0, che non ha funzionato proprio per le sue gravose condizionalità.
Si proponeva di riallocare a favore degli investimenti produttivi il più delle risorse lasciate libere sia dalla revisione del Pnrr, sia dalle nuove linee guida UE sui Fondi Strutturali e di Coesione Europei. Poi un’estensione rapida dell’Ires premiale a una platea ben più ampia di imprese, il ripristino dell’Ace e l’adozione di incentivi industriali semplici e ben collaudati, come Industria 4.0 che ha così ben funzionato negli anni post covid. Sull’energia, misure immediate per il disaccoppiamento in bolletta dei prezzi dell’energia da fonti fossili e quelli da rinnovabili, questi ultimi assai più bassi ma oggi iper premiati seguendo il prezzo del gas. E infine un’accelerazione sulle semplificazioni, partendo dalle 80 proposte a costo zero che nell’autunno 2024 Confindustria presentò al governo.
Sinora, di tutto questo si è visto poco o niente. Sulla revisione delle agevolazioni, è tutto rinviato. Sull’energia, è in corso una trattativa tra tutti i maggiori produttori, sia di fonte fossile sia rinnovabile, ma prima che partano davvero contratti di acquisto pluriennali a prezzo moderato per settore, e non per singola grande impresa energivora come già capitato, ci vorranno molti mesi. Sulle semplificazioni, il 4 agosto scorso il governo ha varato un nuovo disegno di legge, ma siamo lontani dagli 80 punti richiesti dall’industria. Le regionali incalzano e i partiti guardano ai sondaggi. Ma così non si esce dalle difficoltà dell’industria e dell’economia che vanno affrontate con misure strutturali.