Dal divieto di smartphone alle superiori all’esame di riparazione per il 6 in condotta, dalle sanzioni per le aggressioni contro il personale alla nuova maturità. “Più concentrazione e rispetto in classe. Chi sbaglia rischia la bocciatura. Serve una svolta culturale”, dice Antonello Giannelli (Anp)
Il ritorno a scuola è vicino – a Bolzano si comincia l’8 settembre, e poi a seguire fino al 16 – e quest’anno gli studenti troveranno alcune novità significative, frutto delle misure annunciate e introdotte negli scorsi mesi dal ministero dell’Istruzione e del Merito e pienamente operative a partire dall’anno scolastico 2025/26. La prima riguarda il divieto di utilizzo dei cellulari nelle ore scolastiche, che da giugno di quest’anno è stato esteso anche agli studenti delle scuole superiori. Una misura che è stata “introdotta a seguito di un’univoca richiesta che proveniva dal mondo degli psicologi, dei neuropsichiatri infantili e degli esperti più in generale. L’utilizzo continuo dei telefoni cellulari pregiudica l’attenzione cognitiva e la qualità dell’apprendimento, per cui ci si attendono più benefici che controindicazioni, soprattutto nel miglioramento dei livelli di concentrazione”, spiega al Foglio Antonello Giannelli, presidente dell’Associazione nazionale presidi. “I risultati effettivi saranno visibili solo a lungo termine, e fare test in queste materie non è mai agevole”, ma ci sono dei precedenti fuori dall’Italia: Giannelli cita un esperimento svolto nell’Università della Pennsylvania (dunque non in una scuola superiore) e riportato dal New York Times: Ezechiel J. Emanuel, professore di etica medica e politica sanitaria, ha raccontato di aver vietato ai suoi studenti l’utilizzo dei telefoni e dei computer durante le lezioni, anche per prendere appunti: “Inizialmente erano scettici, se non totalmente contrari. Ma dopo un paio di settimane si sono resi conto che ne traevano beneficio: erano più capaci di assorbire e memorizzare le informazioni e di godersi meglio il tempo trascorso in classe. La mia politica prevedeva che i telefoni fossero spenti e, cosa ancora più importante, che non fossero visibili sui banchi. Ho consentito agli studenti che aspettavano chiamate urgenti (…) di avere un telefono cellulare a portata di mano durante le lezioni”. In ogni caso, nelle scuole superiori italiane “sarà impensabile che ci siano servizi di ritiro e riconsegna degli smartphone”, dice Giannelli, “saranno un centinaio le scuole in Italia equipaggiate in tal senso”, dunque l’applicazione del divieto sarà sostanzialmente demandata al controllo degli insegnanti e alla buona fede degli studenti.
Una novità cruciale riguarda poi la maggiore centralità della condotta e una più generale riformulazione degli strumenti “punitivi”, previste dalla riforma Valditara. La condotta sarà trattata al pari delle altre materie, sottoposta a voto numerico e non più a giudizio, e in caso di voto appena sufficiente è previsto un esame di riparazione attraverso la produzione di un elaborato. “Sei in condotta significa che si sono registrati comportamenti gravi e reiterate forme di mancanza di rispetto per i docenti o i compagni di classe, e mi auguro che la valutazione non vada oltre i canoni del buon senso. Condivido l’idea in base alla quale per un comportamento non consono si possa essere bocciati anche se si registrano ottimi risultati nelle altre materie. La scuola non può avallare un paradigma comportamentale per il quale uno studente molto bravo può permettermi di non rispettare le persone che lo circondano”, dichiara il capo dei presidi. L’istituto della sospensione, invece, sarà sostituito da momenti di approfondimento sui comportamenti adottati o, in casi più gravi, da lavori socialmente utili. Si tratta di misure “richieste in prima battuta proprio dai docenti, anche se un conto è una legge e un conto è applicarle. E su questo serve la determinazione a far rispettare le regole”. In questo senso è possibile immaginare “una trasformazione culturale per il quale l’etica e il rispetto dell’altro sono prioritari rispetto alla conoscenza nozionistica delle discipline”.
Cambierà anche l’esame di stato – a partire dal nome, che sarà “esame di maturità”. È stata poi introdotta la bocciatura per coloro che rifiutano di sostenere l’esame orale scegliendo di fare scena muta (anche in caso di raggiungimento di un punteggio sufficiente nelle prove scritte). Su questo tema c’è stata grande attenzione mediatica quest’estate, a fronte di un numero di casi (sei in tutto) per il quale è difficile parlare di un fenomeno o di un problema sistemico. Ma secondo Giannelli il pericolo fondamentale di queste condotte è che “consentono a chi le mette in atto di raggiungere grande visibilità e popolarità”, oltre al fatto che sono conseguenza di una svilimento dell’importanza del voto di maturità, che ormai è diventato poco più che un riconoscimento personale: “Condivido l’iniziativa di Valditara. Io stesso ho proposto di attribuire una soglia minima di valutazione per ciascuna parte dell’esame di maturità”.
Una stretta è prevista anche sulle sanzioni agli studenti che si rendono colpevoli di aggressioni al personale scolastico (queste sì in aumento): sono previsti un inasprimento delle pene per chi provoca lesioni a dirigenti, docenti e personale Ata (prima da 6 mesi a 3 anni, ora da 2 a 5 anni) e l’arresto in flagranza di reato. “Anche questo è frutto di una nostra richiesta. Credo sia giusto equiparare l’aggressione al personale scolastico all’aggressione al personale sanitario, per il quale questa tutela ulteriore era stata da poco varata”.
Nonostante un sostanziale assenso rispetto alle novità introdotte, il presidente dell’Anp segnala i problemi fondamentali della scuola pubblica italiana che restano irrisolti e che riguardano soprattutto l’abbassamento della qualità dell’apprendimento: “Ci sono difformità molto gravi tra le varie aree geografiche, in particolare tra le aree metropolitane e quelle rurali. E c’è poi il tema della ‘dispersione implicita’, cioè il fenomeno per cui i ragazzi conseguono un titolo senza aver sviluppato le conseguenze che quel titolo dovrebbe certificare”. Una questione culturale che è anche economica: “È ben noto che un paese più colto è un paese più ricco. Ma si tratta di problemi che per essere risolti necessitano di un incremento considerevole dei livelli di spesa pubblica, e su questo gli sforzi della politica sono stati sostanzialmente assenti, a prescindere dal colore dei governi. È evidente che spendere per la scuola non è una loro priorità”.