Il nuovo film del regista Premio Oscar inaugura l’82esima Mostra del Cinema. Toni Servillo è un presidente della Repubblica che affronta un dilemma morale: concedere o meno la grazia a due persone che hanno commesso degli omicidi. “Da spettatore detesto quei film che vogliono stabilire chiaramente dove sta il bene e dove il male”, dice il regista
Venezia. Il dubbio viene spesso visto come una debolezza, eppure, non è lo stesso che ci salva dalla retorica, dall’ideologia e dalla noia? Lo sa bene Paolo Sorrentino che nei suoi film lo ha sempre posto al centro delle vicende raccontate, senza essere mai assertivo. Il regista Premio Oscar non propone tesi e i suoi personaggi – che siano papi, cardinali, politici, rockstar, dandy o un presidente della Repubblica, come accade nell’ultimo, La Grazia, in concorso e in apertura alla 82esima Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia – non cercano verità definitive e finiscono spesso con l’inciampare in intuizioni momentanee quasi sempre smentite dalla scena successiva. Non credendo nelle risposte, ma neanche nelle domande chiare, Sorrentino si affida così nel dubbio, “che è una forma e movimento”, ci dice quando lo incontriamo al Lido. “È la possibilità di restare vivi anche quanto tutto attorno spinge alla paralisi”.
“La vita è troppo complicata per raccontarla in una sola idea”, ci disse tempo fa, ed ecco, dunque, spiegato il punto: per lui il dubbio non è un ripiego, ma una forma di rispetto per la complessità che fa sì che i suoi film siano pieni di silenzi, vuoti e frasi che non arrivano mai fino in fondo, non perché non sappia cosa dire, ma perché sa benissimo che alla fine, spesso, ogni frase rischia di mentire. La Grazia, prodotto da Fremantle, The Apartment e dalla sua Numero 10 con Piper Film che lo distribuirà a gennaio, “è un film sul dubbio e sulla necessità di praticarlo soprattutto in politica e soprattutto oggi, in un mondo dove i politici si presentano troppo spesso col loro ottuso pacchetto di certezze che provocano solo danni, attriti e risentimenti, minando il benessere collettivo, il dialogo e la tranquillità generale. Il protagonista – il presidente della Repubblica Mariano De Santis, ben interpretato da Toni Servillo – è un uomo mosso dal dubbio”.
In attesa della fine del suo mandato, De Santis passa le sue giornate tra impegni istituzionali, sua figlia Dorotea (Anna Ferzetti), giurista come lui, e gli amici di sempre, su tutti Coco Valori (un’esilarante quanto malinconica Milvia Marigliano). “L’esercizio del dubbio – spiega al Foglio – è una delle qualità poco frequentate che dovrebbe avere un politico. La degenerazione del dubbio era quella che un tempo, nella Prima Repubblica, si chiamava ‘immobilismo’. Un sano esercizio del dubbio, invece, soprattutto su temi che comportano dilemmi morali come concedere una grazia a un omicida o firmare una legge sull’eutanasia (come accade nel film, ndr), penso che sia una conditio sine qua non. Esistono troppi uomini di potere che lo esercitano basandosi solo su certezze, che se prima erano supportate da ideologie o da cose più serie, adesso ci appaiono più strampalate, frutto dell’emotività del momento. Quelle certezze sono solo i loro punti di vista contraddetti il giorno dopo”. Ne ha tanti e diversi il presidente della Repubblica/Servillo – “non mi sono ispirato a nessun presidente del passato o attuale”, precisa il regista (anche se è impossibile non pensare a Sergio Mattarella) – che riguardano sua moglie Aurora scomparsa da tempo, e due richieste di grazia che sono dei veri e propri dilemmi morali.
“La Grazia è un film su un dilemma morale: concedere o meno la grazia a due persone che hanno commesso degli omicidi in circostanze, forse, perdonabili, e firmare o non firmare, da cattolico quale è, molto amico di un Papa (nero, interpretato da Rufin Doh Zeyenouin, ndr), una legge difficile sull’eutanasia. Quest’ultima – aggiunge – è uno di quei temi in cui la scelta è molto difficile, perché è sfumata non fra bene e male ma fra male minore è un altro tipo di male, tra un bene e un altro tipo di bene. Da spettatore detesto quei film che vogliono stabilire chiaramente dove sta il bene e dove il male. Mi sembrava che il tema dell’eutanasia mi desse la possibilità di sfuggire a questa scelta. Un mio parere personale sulla legge ce l’ho, ovviamente, e lo dico nel film. Il personaggio interpretato da Anna (Ferzetti, ndr) pone al padre una domanda chiave: ‘Di chi sono i nostri giorni?. E Toni (Servillo, ndr) le risponde: ‘sono nostri’. Tra quella domanda così semplice e scontata esiste il grande muro della vita che ti impedisce di arrivare facilmente a quella risposta”.
Ispirato e “folgorato”, come dice lui, da Kieslowski e dal suo Decalogo, “perché incentrato sui dilemmi morali”, ha deciso di fare questo film, “perché viviamo in un momento storico in cui l’etica sembra essere opzionale ed evanescente, opaca o comunque tirata troppo spesso in ballo solo per ragioni strumentali, ma non bisogna dimenticare che l’etica è una cosa seria e che tiene in piedi il mondo”. Nel mezzo, come ama sempre fare nei suoi lavori, Sorrentino ci ha messo l’ironia, “un omaggio alla commedia all’italiana, più che necessaria in un film come questo. Alleggerire ciò che non lo è, è necessario, fa parte della vita. Nessuno è solo drammatico o solo comico, facciamo convivere i due aspetti, come accade al mio protagonista, un uomo definito dagli altri ‘Cemento Armato’ che ritiene che il disorientamento della sua coscienza sia legato al particolare momento che sta vivendo e che abbia bisogno come risposta di una leggerezza”. Le canzoni scelte – Il est Vilaine di Surf Rider all’inizio e durante, e quelle di Guè Pequeno, presente anche in un divertente cameo, lo dimostrano. “Forse per lui è un po’ tardi trovare la leggerezza nella vita vera, ed è per questo gli risulta più semplice trovarla in sogno”. Fino ad arrivare alla “grazia” del titolo, “che è la bellezza del dubbio, ma forse molto di più. È un atteggiamento nei confronti della vita amoroso, rispettoso e paterno, una specie di tocco magico che non tutti riescono ad avere”.