La proposta di congelare l’aumento dell’età per lasciare il lavoro legato alla longevità viene criticata duramente dai tecnici del ministero dell’Economia. Il rischio, secondo le stime, è un forte peggioramento del rapporto debito-Pil nei prossimi decenni
Sulle pensioni la Ragioneria generale dello Stato (Rgs) boccia il governo. Il sottosegretario Claudio Durigon, deus ex machina della previdenza degli italiani, non perde occasione per annunciare la sospensione dell’adeguamento automatico dei requisiti di accesso al pensionamento in relazione all’allungamento dell’aspettativa di vita certificato dall’Istat. Sull’adozione di questa misura pare esservi l’accordo del ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, il quale non ha mai nascosto le sue preoccupazioni per la tenuta del sistema pensionistico nel contesto degli attuali scenari demografici, tanto da aver smontato pezzo per pezzo nelle leggi di bilancio i totem eretti dal governo gialloverde che hanno concorso a mandare in fumo ben 48 miliardi di risparmio derivante, a regime, dalla riforma Fornero.
Nel n.26 del Rapporto sulle tendenze di lungo periodo della spesa pensionistica e sanitaria, la Rgs è di diverso avviso. E non si tratta – come si dice – di un diverso parere sui costi dell’operazione, ma di un dissenso netto di carattere strutturale. Il Rapporto sottolinea che l’adeguamento automatico dei coefficienti di trasformazione rispetto all’evoluzione dei parametri demo-economici e quello dei requisiti di pensionamento rispetto all’aumento della speranza di vita – previsti a legislazione vigente, con cadenza biennale, a partire dal 20216 – non sono degli optional ma vengono “scontati” nelle previsioni di spesa. Tali meccanismi hanno la funzione, come riconosciuto in sede europea e internazionale, di coniugare le esigenze di sostenibilità del sistema pensionistico con quelle di adeguatezza delle prestazioni. La Rgs stima che la rimozione permanente di tali meccanismi, a condizioni invariate, comporterebbe un incremento del rapporto debito/pil di circa 20 punti percentuali al 2045 e di circa 60 punti al 2070. Con riferimento al solo meccanismo di adeguamento automatico dei requisiti di accesso al sistema pensionistico agli incrementi della speranza di vita, la relativa soppressione comporterebbe un incremento del debito pubblico di circa 15 punti di pil al 2045 e di circa 30 punti di pil al 2070.
Ma, a raccontarla tutta, la storia rivelerebbe altri particolari curiosi. Il governo Conte I, nel decreto delle meraviglie (n.4/2019), non si limitò soltanto a introdurre in via sperimentale per tre anni (2019-2021) l’uscita con Quota 100 (62 anni di età e 38 di anzianità contributiva): venne inserita anche una norma che si rivelò più efficace nel favorire il pensionamento anticipato. I requisiti contributivi per i trattamenti di anzianità vennero bloccati – sui 42 anni e 10 mesi per gli uomini e un anno in meno per le donne – fino a tutto il 2026. Questa misura è stata usata in numero maggiore di Quota 100, perché non richiedeva alcun requisito demografico e quindi molti baby boomer, specie se uomini, sono stati in grado di far valere le robuste anzianità richieste prima dei 62 anni di età. In un raptus di inconsapevole virtù, il governo Meloni nella legge di Bilancio ha anticipato di due anni la fine del blocco. Così dal 1° gennaio 2025 è tornato in vigore il meccanismo dell’adeguamento, senza effetti per il primo biennio, ma con una previsione demografica di incremento (la legge stabilisce un tetto massimo di tre mesi) per il biennio 2027-2028. In sostanza, eseguiti gli adempimenti normativi richiesti, la pensione di vecchiaia salirebbe a 67 anni e 3 mesi di età (confermati i 20 anni minimi di contributi); quella anticipata a 43 anni e 1 mese di contributi per gli uomini e a un anno in meno per le donne a prescindere dall’età. A che cosa si deve una così vistosa retromarcia su di un punto tanto critico? La Lega è tornata agli antichi amori? Eppure anche il presidente dell’Inps Gabriele Fava, in un’intervista, ha dichiarato che: “L’aggiornamento dei requisiti alle variazioni dell’aspettativa di vita consente di tenere sotto controllo la spesa pensionistica e l’equilibrio di sistema minato dalla transizione demografica”.