Non è detto che la nuova presidenza sudcoreana dia tutto l’appoggio possibile all’Ucraina come quella precedente. Il nodo delle relazioni sempre più profonde fra il Cremlino e la Corea del nord
La propaganda del regime di Pyongyang ha ormai ufficialmente trasformato la guerra della Russia contro l’Ucraina in una guerra della Corea del nord. E mentre questo strategico avvicinamento fra il regime e la Russia di Vladimir Putin fino a qualche mese fa aveva avuto come prima conseguenza un coinvolgimento molto più attivo della Corea del sud in Ucraina e negli affari europei (e della Nato), a questo punto, con il nuovo presidente Lee Jae-myung, molti osservatori dubitano che il sostegno di Seul a Kyiv resterà inalterato.
Non è possibile sapere se i nordcoreani comuni ci credano davvero, al fatto che i soldati mandati nel Kursk ad attaccare un paese sovrano, indipendente e democratico di cui probabilmente non avevano avuto alcuna notizia prima del 2022, stiano combattendo una guerra per la sopravvivenza stessa della Corea del nord. Eppure la leadership di Kim Jong Un sta facendo di tutto per far passare questo messaggio sin dall’aprile di quest’anno, quando sia la Russia sia la Corea del nord hanno ufficializzato il coinvolgimento di Pyongyang.
Giovedì scorso Kim Jong Un, durante una cerimonia a Pyongyang, ha incontrato i comandanti dell’unità che ha combattuto per la Russia mentre riportavano a casa i corpi di 101 soldati morti nei combattimenti. Kim si è mostrato emozionato, con le lacrime agli occhi, e secondo quanto riportato dall’agenzia di stampa nordcoreana Kcna ha detto di non sapere “come esprimere il mio rammarico e le mie scuse per non essere riuscito a proteggere i nostri preziosi figli”. Secondo gli analisti e gli esegeti dell’iconografia nordcoreana, il messaggio di Kim è proprio quello di rivendicare la scelta di prendere parte alla guerra della Russia davanti al mondo. E durante il concerto-evento che si è tenuto per celebrare i soldati tornati vivi, è stato trasmesso un breve documentario sui combattimenti nordcoreani sul campo – la Russia ha annunciato anche un film sui “fratelli nordcoreani” girato da Marina Kim, nota giornalista e propagandista koryo-saram, come si definiscono le persone di origine coreana dei paesi ex sovietici.
Il 15 luglio di due anni fa, dopo essere stato al Summit della Nato come capo del governo di un paese alleato, l’allora presente sudcoreano Yoon Suk-yeol era stato a sorpresa a Kyiv, e poi a Bucha e a Irpin, per manifestare la vicinanza di un paese che, sebbene a migliaia di chilometri di distanza, aveva nemici molto simili. Due mesi dopo, a metà settembre, il dittatore nordcoreano Kim Jong Un aveva viaggiato fino al cosmodromo russo Vostochny, dove aveva accordato al presidente della Federazione russa Putin il primo invio di soldati nordcoreani nella guerra del Cremlino contro l’Ucraina. Yoon Suk-yeol non era un presidente amato e particolarmente lungimirante dal punto di vista politico – ha accelerato la sua deposizione dichiarando maldestramente una legge marziale che somigliava molto a un colpo di stato – ma sulla politica estera aveva capito che la sua sopravvivenza era legata a una indissolubile alleanza con le altre democrazie liberali. Aveva così rafforzato i suoi rapporti con l’Ucraina, con l’Unione europea e con la Nato. Ad aprile, solo due mesi prima delle nuove elezioni presidenziali anticipate in Corea del sud dopo la sospensione di Yoon, il suo ministro degli Esteri Cho Tae-yul – autore di numerose azioni di governo sorprendenti, come l’apertura di rapporti diplomatici con Cuba e con la Siria, nel tentativo di arginare la diplomazia nordcoreana – era volato al summit ministeriale della Nato a Bruxelles, dove aveva incontrato il suo omologo ucraino Andrii Sybiha. In quell’occasione, Seul aveva annunciato un ulteriore pacchetto di aiuti da 100 milioni di dollari per l’Ucraina, e si era impegnata a sostenere la ricostruzione del paese attraverso il fondo Nato per le forniture militari non letali come carburante, medicinali e attrezzature per lo sminamento. Sul tavolo c’era anche un pacchetto di assistenza a medio-lungo termine di due miliardi di dollari nei prossimi cinque anni attraverso il Fondo di cooperazione allo Sviluppo economico. Il tutto era stato giustificato dalla necessità di aumentare gli sforzi congiunti per “contrastare l’approfondimento della cooperazione tra Russia e Corea del nord che minaccia entrambe le nostre regioni”, aveva detto Cho. Il nuovo presidente Lee, che si è espresso in modo molto scettico in passato sugli aiuti a Kyiv, nel suo incontro con Trump l’altro ieri alla Casa Bianca non ha mai menzionato la guerra, anzi: tutti gli sforzi della sua presidenza saranno per la “pace”, e il riavvicinamento col Nord, e questo ha messo in discussione futuri possibili aiuti in cooperazione con la Nato verso Kyiv. La Corea del sud ha fornito anche molti armamenti all’Ucraina in modo indiretto, fornendoli alla Polonia. Secondo i media sudcoreani, per ora il contratto con Varsavia per la produzione di carri armati K2 da parte dell’azienda di difesa sudcoreana Hyundai Rotem andrà avanti. Ma per l’Ucraina, per l’Europa e per la Nato nei prossimi mesi sarà cruciale non perdere definitivamente l’appoggio di Seul, che è oggi uno dei maggiori esportatori di armamenti globale.