Il nuovo centrocampista dell’Inter e la regola del maestro Aleksandar Tirnanić, utile per capire (almeno un po’) il calcio balcanico
Sino a quando i Balcani erano un’unità politica, e quindi calcistica, tenuta insieme, a forza, dall’idea del progresso socialista e dalla tempra di Josip Broz, per tutti semplicemente Tito, per fare una buona nazionale si teneva sempre in considerazione l’insegnamento del maestro Aleksandar Tirnanić. Che suonava più o meno così: servono croati perché sono quelli tecnici, serbi perché sono quelli forti, il genio dei montenegrini (ma va scelto quello meno indolente), gli sloveni perché sono quelli che corrono di più e meglio e i bosniaci perché sono quelli che danno ordine.
Il maestro Aleksandar Tirnanić sapeva che in gran parte questa regola era basata su pregiudizi e banalizzazione, ma aveva sempre funzionato: la Nazionale jugoslava vinse con lui in panchina due argenti e un oro olimpico.
Erano comunque pregiudizi che si basavano su qualcosa di reale. Perché “la Jugoslavia era unita amministrativamente ma in essa rimanevano disunite le realtà locali, che si manifestavano nella vita di tutti i giorni, ma soprattutto si manifestavano nel calcio”, dice al Foglio lo storico Nikola Guijć che allo studio del calcio jugoslavo ha dedicato diversi decenni. “La ‘regola’ di Tirnanić era forse una semplificazione banalotta, ma rispondeva al vero. E rispondeva al vero perché i principi cardine delle scuole calcio delle varie anime della Repubblica socialista federale di Jugoslavia erano queste. Rispecchiavano cioè ciò a cui si faceva più attenzione nei vari stati federati. E dopo che è tutto imploso, che si è realizzata quella maledetta carneficina, in fondo in fondo la ‘regola’ di Tirnanić è ancora attuale anche se assai più fluida”. Spiega ancora Nikola Guijć che “paradossalmente i diversi stati usciti dallo smembramento della Repubblica socialista federale di Jugoslavia sono più uniti ora di quando erano uniti, c’è più circolazione di idee, non parlo di politica ma di calcio, che all’epoca di Tito. Ci sono tanti esempi di questo, voi italiani state iniziando ad assistere all’ultimo: Petar Sučić”.
Petar Sučić è bosniaco per nascita e prima formazione calcistica, croato per cultura e mentalità, tanto da scegliere la Nazionale croata dopo aver fatto la trafila delle giovanili in quella bosniaca.
Quando scende in campo, ora con la maglia dell’Inter, però rispecchia quello che un tempo era la caratteristica principale delle squadre bosniache. Un calcio geometrico, un trattato di geometria perfetta fatto di quadrati e triangoli, di tagli come rette incidenti e movimenti paralleli. Un modo di intendere il calcio figlio della rivoluzione di Milan Ribar, l’allenatore che riuscì per la prima volta a condurre una squadra bosniaca alla conquista della Prva Liga nella stagione 1971-1972.
Milan Ribar era stato un calciatore rude e quella rudezza l’aveva trascinata in panchina. Ma era anche appassionato di musica classica e matematica, soprattutto di geometria, e trasportò la musica classica e la matematica nel campo. Il suo calcio era improntato sulla velocità e sulla semplicità. Prima regola: la palla non deve stare tra i piedi e chi ce l’ha tra i piedi deve avere almeno due possibilità di passaggio se si è sulla fascia e tre se è al centro del campo, insomma servono triangoli e quadrati.
Petar Sučić ragiona per triangoli e quadrati. Gioca geometricamente, il pallone tra i piedi tende a tenerlo il meno possibile, o quanto meno solo quello necessario per trovargli la migliore destinazione possibile. E lo fa con una tecnica e fantasia croata.
All’Inter sembrava un incidente d’estate durante il Mondiale per club: fuori posto e fuori luogo. Poi Cristian Chivu ha iniziato a ricordarsi il giocatore che è stato e l’allenatore che ha iniziato a essere a Parma, ossia la stessa cosa, ma evoluta: un uomo che si adatta, leader ma senza la presunzione di essere infallibile o necessario. Si è adattato a quasi tutti gli altri suoi uomini e al ricordo di Simone Inzaghi. E ha iniziato a imparare ad adattarsi a Petar Sučić.
Anche se è facile adattarsi a Petar Sučić, perché è facile adattarsi a un giocatore che fa le cose semplici e per bene.
Anche quest’anno c’è Olive, la rubrica di Giovanni Battistuzzi sui (non per forza) protagonisti della Serie A. Piccoli ritratti, non denocciolati, da leggere all’aperitivo. Qui potete leggere tutti gli altri ritratti.