Nel suo primo viaggio alla Casa Bianca, il presidente sudcoreano Lee Jae-myung corteggia Trump lusinghe su Kim Jong Un, mentre a Seul va vanti la resa dei conti ereditata da Yoon e dalla sua legge marziale. Tra Cina e Giappone, la Corea del sud è il nuovo palcoscenico degli equilibri asiatici
Il presidente sudcoreano Lee Jae-myung è arrivato ieri nello Studio Ovale della Casa Bianca con tutto l’armamentario dei leader che vogliono compiacere il presidente americano Donald Trump. Durante i colloqui fra Washington e Seul per i dazi, i negoziatori sudcoreani si erano presentati con dei cappellini rossi con una scritta: “Make America Shipbuilding Great Again”. E’ la cantieristica navale, cioè uno dei settori chiave per l’economia sudcoreana – è seconda soltanto alla Cina per produzione navale – il mezzo con il quale il governo di Seul ha cercato di ammaliare Trump, proponendo un accordo che prevede la costruzione di nuovi cantieri navali negli Stati Uniti da parte dei grandi campioni nazionali sudcoreani, come la Hanwha Group, il rafforzamento delle catene di approvvigionamento e la riparazione delle navi americane su suolo sudcoreano. Ma davanti alla stampa subito prima del bilaterale, Lee ha parlato di tutt’altro: ha ringraziato Trump per il suo rapporto “speciale” con il dittatore nordcoreano Kim Jong Un, e gli ha chiesto di fare un’altra pace delle sue, di portare la pace anche nella penisola coreana magari con una Trump Tower a Pyongyang e andando a giocare a golf lì. E il presidente americano ha abboccato all’adulazione, ha parlato a lungo del suo “tempo libero” trascorso con il dittatore nordcoreano, del fatto che si fida di lui – menzionando anche il terzo vertice con Kim (e l’allora presidente sudcoreano Moon Jae-in) il 30 giugno del 2019: “Quella volta in cui ho oltrepassato il confine, il Secret Service non era felice. Sapete, sono entrato nelle casette blu della Zona demilitarizzata di fronte a un numero imprecisato di fucili, ma sapevo che non sarebbe successo nulla perché ho un rapporto stupendo con Kim Jong Un” – e che lo vedrà di nuovo “in un momento appropriato” (e l’ha detto davanti a un segretario di stato Marco Rubio, noto per le sue posizioni oltranziste contro la Corea del nord, visibilmente a disagio). Poi un giornalista sudcoreano ha posto finalmente ai due leader la domanda che tutti aspettavano.
Perché poche ore prima Trump aveva scritto sul suo social Truth: “Che sta succedendo in Corea del sud? Sembra una purga o una rivoluzione. Non possiamo fare affari lì”, e poi davanti ai media aveva accusato il governo della Corea del sud di condurre “raid contro le chiese” e di compiere “cose molto gravi”. Davanti a Lee ha raddrizzato il tiro: “Ne parleremo dopo”, minimizzando: “Sono voci che circolano dall’intelligence”. Il problema è che il cortocircuito Maga ha la sua perfetta nemesi in Corea del sud: Trump si riferiva probabilmente alla lunga e dolorosa inchiesta contro l’ormai ex presidente Yoon Suk-yeol e la first lady Kim Keon-hee, accusati di colpo di stato, quest’ultima in particolare, secondo gli investigatori, forse aiutata dal suo sciamano personale e da alcuni contatti con la Chiesa dell’Unificazione. Lee è stato eletto neanche tre mesi fa dopo il caos della legge marziale invocata dall’ex presidente, ma Yoon e i suoi sostenitori sono quelli più vicini ai trumpiani americani, e alla Chiesa dell’Unificazione alle cui convention Trump è spesso ospite. Lee invece è l’uomo che vuole il riavvicinamento con la Corea del nord, che faceva comizi contro la Nato e che non si fida abbastanza dell’America: non a caso ieri, in contemporanea con il suo viaggio in America, una delegazione del governo di Seul è volata a Pechino, per consegnare al leader cinese Xi Jinping una lettera personale “sul futuro delle relazioni tra Corea del sud e Cina”, e a un invito al prossimo vertice Apec che si terrà nella città sudcoreana di Gyeongju. Ieri Trump non ha escluso la sua partecipazione al vertice il 31 ottobre prossimo, e sembra che possa essere la location per un primo incontro fra il presidente americano e Xi Jinping.
La Corea del sud è un alleato strategico fondamentale per l’America, anche in chiave di contenimento della Cina, alla pari del Giappone. L’ex presidente Joe Biden aveva lavorato a lungo per rafforzare l’alleanza e il coordinamento fra le potenze dell’Asia orientale, e Trump ieri ha detto che sta faticando a riportarli al tavolo. Prima di volare a Washington, Lee ha compiuto una visita di cortesia a Tokyo – sorprendendo molti, viste le sue posizioni anti-giapponesi – ma con il chiaro intento di scegliere il male minore, aprendo a una politica estera più flessibile, anche e non necessariamente legata all’America.