Fuori tutti quelli che esplicitamente non rinnegano Bibi e il controverso genocidio. Ma il cinema è una bestia rivoltosa. Dovranno stare attenti a Rohrwacher e ai molti altri vip
“Narrazione” è parola scipita, abusata. Ma il cinema è sopra tutto “narrazione”. Sul Wall Street Journal nota Andy Kessler, che è un capitalista di quelli duri, hedge fund, che la mania dei giovani per un Mamdani, il figliolo di Mira Nair che corre con successo per la carica di sindaco di New York, dipende dalla Repubblica popolare di Hollywood, un luogo di incanto identitario in cui prevalgono sistematicamente risentimento e disdoro per il capitalismo, lotta per l’eguaglianza, riscatto immaginifico della povertà, sentimento acuto della cattiveria del potere, amore per il socialismo. Kessler fa un elenco esaustivo della grande narrazione hollywoodiana fondata sull’identità antagonista, con la quale si fanno buona coscienza e buoni quattrini. I mercati sono corrotti, i milionari sono avidi e intriganti, anche i film buoni o buonissimi, come “Joker”, danno regolarmente per scontato che le condizioni sociali sono pessime a causa del capitalismo che li finanzia e li produce.
Ma “Karl Marx non è un supereroe”, scrive Kessler, e aggiunge che bisognerebbe “fermare la tiritera sul capitalismo che è kaputt e convincere i giovani elettori che il socialismo è buono solo per rovinare tutto quello che tocca”. Vaste programme. Il cinema è costitutivamente, inguaribilmente, energicamente di sinistra, il bel cinema e il cinema bruttino non sono in questo diversi l’uno dall’altro. Naturalmente c’è cineasta e cineasta, come c’è kamikaze e kamikaze secondo il vecchio detto, e del grandioso Elia Kazan, che essendosi vaccinato dal Partito comunista americano negli anni Trenta fece poi una testimonianza maccartista nel 1952, Orson Welles disse con ironia amara: “E’ un traditore ma è un grande regista”. Kazan aveva tradito la comunità, la Repubblica Popolare di Hollywood, e danneggiato il suo amico Clifford Odets, ma fu il più colossale dei colossi della poesia in movimento prima di Kubrick, suo estimatore (avrete presente, e se no fottetevi, “Fronte del porto”).
A Venezia (Mostra cinematografica, una delle glorie culturali del regime fascista) si sta scatenando il V4P, che sembra Vip per la Palestina ma invece la V sta per l’iniziale della città. Vogliono cacciare dalla Mostra gli ebrei che non sono contro Netanyahu, che esplicitamente non rinnegano il genocidio, nome controverso degli incubi di chi pensa che il pogrom del 7 ottobre era una “cazzata” – ci sono anche quelli tra noi. Bene, ma loro restano a casa, chissà che avrebbero fatto il buon Barbera e il mio amico Pietrangelo Buttafuoco, in arte Giafar al Siqilli. Non li invidio. Annalena Benini al Salone del libro disse che non toglieva la parola a nessuno, e mi bacchettò privatamente, probabilmente a ragione, perché avrei voluto mettere la mordacchia a un giovane egiziano riscattato dal carcere di al Sisi per poi farci lezioni di antisionismo militante. Ecco. Una bella prova di libertarismo anche verso i criminali di guerra e i loro accoliti non sarebbe male. Ma il cinema è una bestia rivoltosa. Dovranno stare attenti a Rohrwacher, non so quale delle due, e ai molti altri vip che potrebbero replicare le gesta del compianto Citto Maselli, il quale, come dissero allora i detrattori della crociata contro il pallido Gian Luigi Rondi (o era Luigi Chiarini? Boh), occupò la Mostra alla testa di un centinaio di “non autori”. L’unica differenza è che Karl Marx non è un supereroe, ma Sinwar rischia di diventarlo.