Nel Caucaso è entrato in gioco la potenza americana a scapito dei suoi due tradizionali protettori, Russia e Iran. I fantasmi di Monaco e del corridoio di Danzica aleggiano nelle menti. Questo accordo concede all’Armenia una tregua precaria
“Lo scorso 8 agosto, il primo ministro armeno, Nikol Pashinyan, il presidente azero, Ilham Aliyev, e il presidente americano, Donald Trump, hanno firmato un memorandum d’intesa in sette punti che impegna le parti a concretizzare un accordo di pace definitivo” scrive sul Figaro Tigrane Yegavian. “Allo stesso tempo, l’Armenia e gli Stati Uniti hanno firmato accordi bilaterali in merito allo sviluppo del progetto armeno ‘Crocevia della pace’, l’intelligenza artificiale e i semiconduttori, nonché la sicurezza energetica. Si tratta certamente di un evento importante nella storia di questo nodo gordiano geostrategico che è il Caucaso meridionale, poiché segna l’entrata in gioco della potenza americana a scapito dei suoi due tradizionali protettori, Russia e Iran. Era l’ultima carta che Erevan aveva in mano.
Il principale ostacolo era il controllo del corridoio di Syunik (Zangezur), che il regime di Baku intendeva ottenere con le buone o con le cattive. Il terzo punto del memorandum – probabilmente il più cruciale – sostiene l’apertura delle frontiere e delle vie di trasporto, rafforzando al contempo la sovranità, l’integrità territoriale e la giurisdizione dell’Armenia, con un concetto di reciprocità evocato più avanti nel paragrafo. Per quanto riguarda l’apertura delle comunicazioni regionali, il principio di sovranità, di integrità territoriale e di giurisdizione è incluso nella dichiarazione firmata da Aliyev, Pashinyan e Trump. Tuttavia, il principio di reciprocità, essenziale per l’Armenia, è menzionato solo indirettamente come ‘vantaggi reciproci’. Ancora più problematico è il termine ‘connettività senza ostacoli’ tra l’Azerbaigian e il Nakhichevan, già utilizzato nel 2020, che le due parti interpretano in modo diverso da anni. I dettagli sull’apertura delle comunicazioni e sul ruolo degli Stati Uniti non sono ancora stati resi noti, lasciando molte questioni in sospeso. Anziché respingere la richiesta di Baku, Washington ha legittimato questo corridoio, trasformandolo in un argomento di soluzioni creative. Tuttavia, l’accordo non è del tutto equilibrato. Il percorso di Meghri – soprannominato “Trump Route for International Peace & Prosperity” (Tripp) – sarebbe gestito e controllato dagli Stati Uniti e da altri appaltatori stranieri. Al contrario, l’accesso ferroviario armeno attraverso il Nakhichevan sarebbe interamente gestito dall’Azerbaigian. Questo accordo offre a Erevan meno garanzie sulla reciprocità e sulla sicurezza della Tripp. Il termine ‘senza ostacoli’ rimane vago, lasciando probabilmente intendere che l’operatore interagirebbe direttamente con i viaggiatori azeri, fornendo all’Armenia solo rapporti indiretti. In questo contesto, Baku ha incluso il termine ‘senza ostacoli’ per descrivere il collegamento che intende realizzare con la sua exclave del Nakhichevan, accompagnato da ‘vantaggi reciproci’ per l’Armenia. Concretamente, l’Azerbaigian otterrebbe l’accesso al Nakhichevan attraverso Meghri, nella regione meridionale di Syunik, al confine con l’Iran. Tuttavia, questo itinerario rimarrebbe sotto la giurisdizione armena, senza extraterritorialità né trasferimento di sovranità. In cambio, Erevan beneficerebbe di “vantaggi” ma non di equivalenti. Abbandonata da una Russia che ha scommesso sull’Azerbaigian dopo la guerra del 2020 e ha perso la sua scommessa tollerando la pulizia etnica dell’Artsakh/Nagorno-Karabakh nel settembre 2023, nonostante il suo dovere di protezione, l’Armenia non ha potuto contare sufficientemente sull’Unione europea nella sua disperata ricerca di dissuasione e di rimodellamento della sua architettura di sicurezza, crollata con la guerra in Ucraina e l’effetto dei vasi comunicanti indotto da questo conflitto.
Sebbene i due stati concordino sul rispetto della rispettiva integrità territoriale, non è stato fatto alcun riferimento al mantenimento dell’esercito azero su 250 km² di territori sovrani della Repubblica armena, rendendo ancora più vulnerabili le capacità di difesa di questo paese senza sbocco sul mare e ormai allo stremo. Si spera quindi che il processo di demarcazione del confine, ancora in corso, possa portare a risultati tangibili. Laddove ci si sarebbe potuti aspettare una soluzione europea più equilibrata e attenta alla pace dei coraggiosi piuttosto che all’umiliazione, gli Stati Uniti hanno fatto man bassa: ancorando l’Azerbaigian al campo occidentale con forti promesse di contratti vantaggiosi tra le società Socar ed Exon, riorientando allo stesso tempo l’Armenia verso la Nato, ma paradossalmente senza offrire alcun tipo di assistenza militare. Questo riallineamento non è privo di conseguenze: riduce drasticamente l’influenza dell’Iran e favorisce lo sviluppo di rotte commerciali ed energetiche alternative che aggirano Teheran e Mosca. In questo modo, gli Stati Uniti mirano a portare Erevan e Baku nella loro orbita e a distoglierle da qualsiasi impegno futuro legato al Corridoio di trasporto internazionale nord-sud (Instc), che collegherà la Russia all’Iran e all’Oceano indiano (…).
Mentre in Armenia la società è immersa in una profonda apatia e fatica a reagire alle dichiarazioni contraddittorie di un potere galvanizzato da questo accordo e di un’opposizione divisa e screditata che grida al tradimento, i fantasmi di Monaco e del corridoio di Danzica aleggiano nelle menti. Questo accordo concede all’Armenia una tregua precaria, allontanando momentaneamente il pericolo di un’aggressione militare da parte del suo bellicoso vicino. Momentaneamente, perché il potere azero continua a esercitare la massima pressione su Erevan e chiede una riscrittura della sua Costituzione e l’abbandono di ogni riferimento all’autodeterminazione del popolo dell’Artsakh (…).
L’abbandono da parte di Erevan di ogni azione legale internazionale per i crimini di guerra commessi durante l’ultima guerra e – cosa ancora più ingiusta – il via libera della comunità internazionale alla più rapida pulizia etnica del Ventunesimo secolo e al processo di demolizione del patrimonio plurimillenario armeno rimarranno una macchia indelebile. Un intero popolo autoctono, che abitava nella culla dell’antico regno di Armenia, è stato spazzato via dalla geopolitica degli imperi, un popolo a cui è stato tolto il diritto all’autodeterminazione, cioè il diritto alla vita. Come i Sudeti, l’Artsakh, martirizzato nella sua realtà fisica e spirituale, è stato vigliaccamente gettato alle ortiche di una pace improbabile, mentre la sua popolazione rifugiata soffre di una campagna di razzismo e odio alimentata dai canali di influenza filogovernativi che vedono in essa una quinta colonna russa. L’Armenia ha ottenuto una tregua, cedendo su quasi tutti i fronti dietro la maschera confortante di una prosperità condivisa e chimerica: non si sa come si concretizzerà sul campo perché i contorni della road map di Trump rimangono vaghi. Un progetto che ci ricorda che sono soprattutto i rapporti di forza a dettare i termini e non i valori che pensiamo di difendere”.
(Traduzione di Mauro Zanon)