Il mare, le colline, contemplare l’orizzonte aggrappandomi alle persistenze. Una vedetta in un micromondo sempre uguale
Da molti anni trascorro gran parte delle mie ferie al mare a Ponte Sasso di Fano. Un mare forse minore, periferico, sabbioso, privo di profondità e di scogli su cui misurare la potenza delle onde, ma non per questo meno bello e suggestivo. Un mare le cui tinte tenui sfumano presto con il cielo rendendo l’orizzonte meno lontano e che non evoca l’ignoto e magari il desiderio di fuggire, bensì l’inesauribile ricchezza di ciò che è noto e familiare, insomma un mare “nostro”, al pari delle colline che gli fanno da cornice. Negli anni molto è cambiato, ovviamente: sono cambiati i bagnini, gli ombrelloni, il caldo, i figli sono diventati grandi e al loro posto sono subentrati i nipoti. Ma io mi difendo aggrappandomi alle persistenze. Più che un vacanziere mi sento ormai una sorta di vedetta in un micromondo che mi ostino a vedere sempre uguale. Potenza della suggestione, verrebbe da dire, forse della vecchiaia, ma tant’è.
Credo che un po’ in tutte le Marche si respiri quest’aria di familiarità, calma e inquieta nello stesso tempo. La riscontriamo nei “monti azzurri”, nei boschi, nei borghi adagiati sulle colline che dolcemente declinano verso il mare, e persino nelle onde. Una persistenza che non si fa sopraffare dai mutamenti, ma li ingloba, rinnovandosi continuamente senza darlo troppo a vedere; una bellezza unica e in gran parte sconosciuta, che fa sentire molti marchigiani come dei privilegiati dalla natura e dalla storia.
Nel tratto di costa dove mi trovo Internet funziona malissimo e ci sono giorni che non si riesce nemmeno a vedere i canali della Rai, ma guardare il mare e le colline dalla terrazza di casa è un vero e proprio rapimento. Non puoi stare lì e fare qualcos’altro; persino leggere diventa difficile; al massimo si può giocare con i nipoti, spesso cercando di trattenere il più a lungo possibile la loro voglia di andare al mare, non di guardarlo. Ma anche questo è salutare. Tiene lontana la decrepitezza nostra e quella di una società dove non ci sono più bambini, che invece giocano ancora numerosi sulla spiaggia e sul mare basso di Ponte Sasso, dove la sabbia, oggi come sempre, rappresenta il propellente ideale della loro fantasia: facciamo questo, facciamo quest’altro; non importa nemmeno se alla fine non facciamo nulla; i bambini sanno benissimo che si tratta di costruzioni sulla sabbia; la loro soddisfazione più grande sta nel poterle semplicemente immaginare insieme a qualcun altro.
Quanto al resto, suppongo che chi viene a trascorrere le ferie da queste parti conosca bene le bellezze dell’entroterra anconetano e pesarese, i borghi e i castelli dell’arceviese e della valle del Cesano, incastonati come perle in una natura già bella di suo, resa più bella ancora dal lavoro di generazioni di contadini. Per non dire del cibo e dei vini marchigiani. Da queste parti c’è solo l’imbarazzo della scelta tra l’entroterra e il mare. Il mio ristorante preferito, ad esempio, si trova a Fano e si chiama “Cile’s”. L’ambiente è accogliente, i prezzi sono giusti e la qualità della cucina eccellente.
Ci andrei tutti i giorni soltanto per gustare un imperdibile sorbetto al limone e liquirizia; ci vado comunque quando posso perché mi piace l’atmosfera. Il titolare prende le ordinazioni, chi serve a tavola, tutte donne, lo fa con gentilezza e affabilità, come se conoscesse da sempre anche i clienti che sono lì per la prima volta, ma lo fa soprattutto con discrezione. Contrariamente a quanto solitamente accade nei luoghi di villeggiatura, per non so quale prodigio, qui la gente seduta a tavola parla sottovoce, così che si può conversare tranquillamente senza ascoltare la conversazione dei tavoli vicini o senza ripiegare in breve tempo, come succede a me, in una sorta di mutismo inebetito. Mi piace andarci soprattutto a cena, pregustando la successiva passeggiata notturna sul lungomare. A parte quando c’è la luna piena, di notte il mare non si vede, ma si sente il rumore. Racconta una storia di milioni di anni, incomparabilmente più lunga della nostra e tuttavia familiare. Di nuovo le persistenze.