Le sorprese positive del famoso risiko bancario: le relazioni spericolate tra politica e banche ci sono, ma producono anche buoni risultati. Spunti inattesi tra i numeri di Borsa, le operazioni concluse e il rinnovato dinamismo del settore
Lo spettacolo offerto negli ultimi mesi dal settore bancario italiano ha regalato agli osservatori molti spunti di riflessione su un numero sterminato di temi. Il risiko ha messo al centro della scena battaglie di potere, conflitti personali, approcci alternativi, tradimenti inaspettati e alleanze insospettabili. Ma uno dei temi più gettonati negli ultimi mesi rispetto alle partite bancarie ha riguardato le presunte relazioni improprie tra il mondo della politica e il mondo della finanza. Il capo di imputazione mosso dai teorici puri del libero mercato è questo: quando la politica mette il becco in un mercato, di solito il mercato ne risente in modo negativo. La teoria è lineare, è condivisibile, ma lo spettacolo offerto dal mondo bancario in questi mesi ha offerto numerosi elementi per porsi qualche domanda intorno a questo dogma assoluto: la politica che si interessa al mercato, e che in una certa misura interferisce con le sue iniziative, ha sempre effetti negativi? Lo spettacolo offerto in questi mesi dal mondo bancario sembra essere lì, di fronte ai nostri occhi, per offrire risposte alternative, e sorprendenti. La premessa è d’obbligo: non si può negare che il governo, in mezzo al risiko bancario, abbia voluto svolgere un’iniziativa. Lo ha fatto a più riprese. In primo luogo, quando, attraverso Monte dei Paschi di Siena, partecipata all’11 per cento dal Mef, al 9 per cento dalla Delfin di Milleri, ovvero gli eredi Luxottica, e al 5 per cento da Caltagirone, ha scelto di portare avanti un’iniziativa per conquistare Bpm. La seconda mossa sostenuta e avallata dalla politica è avvenuta quando l’iniziativa di Mps su Bpm è stata spazzata via dall’intervento di Unicredit che ha presentato un’Ops proprio su Bpm. La terza mossa sostenuta dalla politica è avvenuta quando, per provare a tenere lontana Unicredit da Bpm, ha presentato paletti molto rigidi sull’operazione attraverso uno spregiudicato utilizzo del Golden power. La quarta mossa è avvenuta quando a gennaio Mps, una volta vista sfumare l’opzione Bpm, ha spostato la sua attenzione su Mediobanca, per la gioia degli azionisti di Mps, Milleri e Caltagirone in primis, e l’8 settembre si saprà che esito avrà l’Ops su Mediobanca, il cui esito positivo però è ormai scontato. La quinta mossa è avvenuta quando il governo, in via informale, ha minacciato l’utilizzo del Golden power rispetto a una scelta molto contestata fatta dal management di Generali, l’operazione con Natixis, mosso dal desiderio di proteggere il risparmio italiano, e quella mossa ha avuto l’effetto oggettivo di congelare l’operazione. L’attivismo del governo è stato reale, è stato alla luce del sole, ma è stato un attivismo che ha prodotto effetti che non possono non aver colpito anche i dogmatici del libero mercato. La mossa di Mps su Bpm ha fatto uscire allo scoperto Unicredit, la cui mossa ha fatto uscire allo scoperto Crédit Agricole. La successiva mossa di Mps su Mediobanca ha contribuito a mostrare la fragilità di un meccanismo di potere a Piazzetta Cuccia che ha spinto l’amministratore delegato di Mediobanca a cercare tardivamente un modo per dare un futuro alla banca d’affari attraverso l’operazione con Banca Generali, respinta in assemblea due giorni fa.
E se il 7 settembre l’Ops del Monte – spinta dal Mef – verrà accolta dall’assemblea di Mediobanca, la Mediobanca del futuro avrebbe un assetto nuovo all’interno del quale il mercato conterebbe un po’ di più, in cui le azioni verrebbero cioè contate e non solo pesate, e all’interno del quale verrebbe scardinato quel meccanismo di patti di sindacato con cui Mediobanca viene guidata da anni da una minoranza di blocco (e il fatto che a guidare la Mediobanca del futuro dovrebbe essere una società, la Delfin, guidata da uno dei campioni del capitalismo mondiale, ovvero il capo di Luxottica, dovrebbe ridimensionare l’idea che l’operazione su Mediobanca sia un’operazione guidata dai poteri forti dei palazzi romani). Nell’anno del risiko bancario, lo zampino del governo c’è stato (e anche il provvedimento fatto sulla lista del cda dal governo avrebbe potuto avere su Generali un effetto distorsivo) ma il dato sorprendente con cui fare i conti è che il consuntivo del rapporto tra banche e politica negli ultimi mesi ha prodotto più risultati positivi che negativi. In primo luogo, ha contribuito a smuovere la foresta pietrificata del sistema bancario italiano e il numero di operazioni registrate negli ultimi mesi (e alle operazioni più note va aggiunta anche Bper che ha portato a termine l’acquisizione della Popolare di Sondrio e Banca Ifis che ha portato avanti l’operazione su Illimity) ha vivacizzato il mondo della finanza in modo tangibile, come dimostra un numero che anche i dogmatici del mercato non possono negare: la crescita in Borsa del listino delle banche. Negli ultimi sei mesi l’indice FTSE Italia All-Share Banks ha guadagnato tra +31 per cento e +32 per cento, mentre il più ampio FTSE Italia All-Share ha segnato solo un +12 per cento. In Germania, l’indice DAX (che include anche il settore bancario) è salito soltanto di circa +10 per cento nell’ultimo semestre. Rispetto alla vivacità del sistema bancario italiano, la politica nel bene e nel male non è estranea. Ma c’è anche un altro elemento politico che ha impattato positivamente sulle banche. Negli ultimi dodici mesi lo spread Btp-Bund è sceso da 140-150 a sotto 100 punti base. Questa riduzione, figlia anche della responsabilità politica e della prudenza sul debito pubblico, ha avuto un effetto concreto sui bilanci bancari, molti dei quali sono gravati da ingenti investimenti in Btp. Unicredit ha guadagnato oltre 400 milioni di capitale, Banco Bpm circa 50 milioni, Intesa tra 40 e 50, Mps una decina. Non sono utili immediati ma margini patrimoniali. E anche in questo caso la politica ha avuto un ruolo nel rendere le banche italiane più solide (anche se poi spesso la politica in questi anni in modo demagogico ha cercato di far pagare alle banche i cosiddetti extra profitti, senza riuscirci anche perché le banche hanno già una tassazione diversa sull’Ires, e più severa, rispetto alle altre società italiane). A tutto questo poi potremmo aggiungere il fatto che la politica ha prodotto un altro risultato positivo occupandosi di banche anche in un altro contesto. E non può sfuggire il fatto che al centro dei giochi del risiko vi sia una banca (Mps) che lo stato ha risanato rimettendola a poco a poco sul mercato e che oggi può permettersi di pensare più in grande anche grazie al modo virtuoso in cui l’azionista principale di Mps (il Mef) ha reso più sana la banca (l’aumento di capitale dell’ottobre del 2022 fu fatto a due euro, oggi un’azione di Mps vale 8,2 euro). Non tutte le azioni portate avanti dalla politica nel mondo delle banche hanno prodotto risultati virtuosi. Ma anche i dogmatici del mercato di fronte al grande romanzo del risiko bancario dovrebbero chiedersi se la politica – le cui azioni, per quanto spregiudicate, sono sempre oggetto della valutazione del mercato – ha avuto un ruolo o no nello stimolare la vivacità del settore bancario e assicurativo. Le risposte potrebbero essere sorprendenti. Viva l’estate del risiko.