Amaro Lollobrigida: divieti, tabù sul vino dealcolato e decreti mancanti. Ecco il dazio che blocca un mercato

Non solo i dazi di Trump sul vino. Un settore, quello del vino dealcolato, che vale 2.6 miliardi è ancora ostaggio di burocrazia e dell’ostracismo del ministro e di Coldiretti. La storia

Ecco l’Amaro Lollo, il primo liquore che non fa digerire. Ecco come si ferma un’economia che vale 2.6 miliardi di euro, che può volare fino a 7 e che meriterebbe tutta l’attenzione del governo Meloni. Si tratta del vino dealcolato, la bevanda che va di traverso al ministro dell’Agricoltura (e a Coldiretti). Trump colpisce il vino con i suoi dazi al 15 per cento, ma cosa fa Lollobrigida per sollevare un settore minacciato? E’ cresciuta la domanda di vino dealcolato; lo consumano italiani, lo acquistano i paesi arabi, lo producono in Francia, in Germania: perché in Italia no? Prima, la crociata di Lollobrigida, “non chiamatelo vino”, poi, la giravolta, “facciamolo”. Sì, ma come? Divieti, retromarce e adesso manca il decreto interministeriale. Non beviamoci su.

Cosa fanno gli imprenditori da che mondo è mondo? Cercano nuove rotte, nuovi mercati, cercano di soddisfare le richieste dei consumatori. Bene, il mercato europeo, e non solo, chiede vino dealcolato. Si rimuove la parte alcolica con un sistema a membrana, si toglie un po’ di Bacco, ma il prodotto piace e si vende. Eccome se si vende. Anche il re del Barbaresco, il Mozart dei vini, Angelo Gaja, refrattario, ha avuto una conversione e spiegato che “la ricerca metterà meglio a punto il modo di produrre questi vini”.

Quale migliore occasione che commercializzare il prodotto, tanto più ora con i dazi di Trump? Anche Lollobrigida, l’Amaro Lollo, si è convertito, ma purtroppo la sua conversione è a metà. Gli imprenditori del vino, l’Unione italiana vini, gli dicono: ministro, perché fai una guerra ideologica? Ministro, guarda che il mercato cresce e che il vino dealcolato è già venduto in Italia, solo che lo vendono Francia e Germania. Al ministero si convincono che bisogna varare un decreto. Il 23 dicembre 2024 il decreto arriva con regole stringenti. Si stabilisce che per dare il via alla dealcolazione servano locali separati, nuovi capannoni, insomma, farlo sì, ma non nella stessa cantina. Le associazioni di categoria protestano ma non si lasciano scappare l’occasione. Iniziano i lavori, e con i lavori gli investimenti, i prestiti bancari. quando improvvisamente dal ministero si fa marcia indietro: non occorre un nuovo stabilimento, basta soltanto che i locali non siano comunicanti. E che ci voleva a dirlo prima? Gli investimenti fatti? Ormai fatti.

Ci sarebbe da divertirsi anche sull’uso della lingua. Nella prima bozza di decreto si parlava di vino “dealcolizzato” solo che al ministro non piace. Si sa che Lollobrigida è un cultore dell’idioma, è raffinato e ultimamente ragiona anche di penicillina e vaccini al posto del ministro della Sanità, Orazio Schillaci. Si cancella dalla bozza la parola “dealcolizzato” e si sceglie “dealcolato”. Ah, ulteriore divieto: nessuno si permetta di usare la parola “alcol free”. A questo punto la produzione può partire? Eh no.

Per produrre vino dealcolato si estrae l’alcol ma alcol significa per lo stato accise e come determinare le accise su questo alcol estratto? Il decreto di riforma delle accise recita che l’altro, il decreto ministeriale sulle accise da dealcolato, entrerà in vigore sì, ma solo a gennaio 2026. Ma come? 2026? E’ chiaro a tutti che bisogna anticipare l’entrata in vigore, e si anticipa, solo che l’articolo che riguarda il vino dealcolato non viene incluso tra le misure anticipate. Svista degli uffici? Di nuovo proteste, correzioni. E arriviamo così a giugno. Non è finita. Al momento manca il decreto interministeriale Masaf-Mef. A questo punto delle due l’una: o è burocrazia o ci si serve della burocrazia per allungare i tempi di una decisione che non si vuole prendere. E perché non si vuole prendere? Inutile ripetere che il vino dealcolato è un tabù per Coldiretti che suggerisce di chiamarlo “bevanda d’uva” e che Coldiretti è il decanter di Lollobrigida. Sia chiaro, non solo di Lollobrigida. Non risulta che il Pd abbia mai fatto una battaglia per dire a Lollobrigida: “Forza, ministro, corriamo, vendiamo vino dealcolato”. Un’altra battaglia sarebbe questa: ministro Lollobrigida, ma lo firmiamo il trattato Mercosur? L’Italia in sede europea continua a opporsi. Grazie a quel trattato, e lo chiede Confindustria, si aprirebbe il mercato dell’America Latina, un nuovo mercato oltre l’America di Trump. Nulla. Torniamo al vino dealcolato. Alla fine, in Italia lo sta producendo qualcuno? Sì, lo producono le distillerie che possono già dealcolare senza problemi, peccato che la qualità è di gran lunga inferiore rispetto a quella della cantina che opera con tecnologie più avanzate. E’ questo l’Amaro Lollo, il liquore che nasce da erbe selezionate: ideologia, Coldiretti e strapaese. Effetti collaterali: favorisce il declino e l’indigestione.

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  • Carmelo Caruso
  • Carmelo Caruso, giornalista a Palermo, Milano, Roma. Ha iniziato a La Repubblica. Oggi lavora al Foglio

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