Libertà di parola, immunità e patria. Cosa racconta della Russia la sentenza Gorinov

Vietato criticare lo stato. Il rapporto capovolto dei diritti costituzionali sul caso dell’avvocato ed ex deputato, condannato a 6 anni e 11 mesi

In una sentenza del 29 maggio 2025 (n. 1268-O), la Corte costituzionale della Federazione russa ha rigettato il ricorso dell’ex deputato municipale, l’avvocato 64enne Alexei Gorinov, primo cittadino russo condannato in base alla nuova fattispecie di reato di cui all’art. 207.3 c.p. che sanziona la diffusione di notizie false riguardanti l’esercito e altri organi dello stato. Nel proprio ricorso, Gorinov, condannato in via definitiva a 6 anni e 11 mesi di carcere (cui si è aggiunta, nel frattempo, un’altra condanna a tre anni per propaganda terroristica), lamentava l’incostituzionalità di tale reato per violazione, tra gli altri, dell’art. 29 della Costituzione del 1993 che protegge la libertà di espressione.

La Corte ha respinto il ricorso con una motivazione che incarna il nuovo “spirito delle leggi” vigente in Russia da alcuni anni e, in particolare, la filosofia del suo presidente, Valery Zorkin. L’82enne Zorkin, in carica dal 2003, ma noto per i suoi screzi con Boris Eltsin già negli anni Novanta, abbraccia una dottrina interpretativa che mescola la stretta aderenza a un positivismo sovietico “di maniera” con una visione organicista dello stato di impronta schmittiana, secondo la quale esso esprime la propria indiscutibile forza regolatrice traendo linfa da una coscienza sociale stabilmente fondata su valori morali e spirituali tradizionali. Questa fiducia nella forza salvifica dello stato, da opporre a una visione individualista dei rapporti sociali, traspare anche nella sentenza qui in esame. “La Costituzione – scrive Zorkin – non prevede, né ammette che i diritti da essa garantiti siano utilizzati per negare l’ordine costituzionale della Federazione russa, in cui lo stato, in quanto garante e mezzo per assicurare la realizzazione e la protezione dei diritti dell’individuo e del cittadino, costituisce un valore costituzionale degno di rispetto e protezione da parte di tutti. La difesa della patria è riconosciuta non solo come dovere costituzionale, ma prima di tutto come obbligo morale del cittadino”. Pertanto “se un cittadino, nell’esercizio dei propri diritti (inclusa la libertà di pensiero) viola i diritti altrui e tale violazione (a prescindere che sia diretta contro persone specifiche o l’ordine pubblico in generale) assume un carattere socialmente pericoloso e illecito, il responsabile può essere chiamato a risponderne, con l’obiettivo di proteggere gli interessi collettivi”. In particolare, ciò accade – ricorda la Corte – proprio quando vengono diffuse notizie intenzionalmente false con riguardo all’operato delle Forze armate.

Della libertà di parola non resta, insomma, che il simulacro: lecito è soltanto “evidenziare le carenze” dell’operazione speciale, spiega Zorkin, che della decisione è relatore, non anche contestarne alla radice la versione ufficiale, così come veicolata dalle autorità dello stato. Come si vede, la Corte afferma una concezione dei diritti fondamentali antitetica a quella di una società liberal-democratica, nei quali essi, invece, esistono e sono meritevoli di protezione anche quando non siano funzionali all’inveramento dell’ordine costituzionale così come plasmato dallo stato tramite il legislatore. Nella Russia orgogliosamente post liberale, invece, ogni orizzonte di senso deve prodursi tramite lo stato e nello stato, che non è più solo garante dei diritti, ma anche mezzo imprescindibile per la loro realizzazione tanto da divenire un valore degno di tutela in sé.

Ogni potenziale critica nei confronti dello stato viene radicalmente esclusa dall’ambito del dicibile della comunità politica e bollata come abuso. E di fronte all’abuso del diritto, ogni scrutinio di proporzionalità, persino sull’entità della pena, va del tutto pretermesso. A essere stato oggetto di abuso, spiega ancora la Corte, è, del resto, anche l’istituto dell’immunità. Gorinov aveva eccepito di aver pronunciato un discorso contro le azioni dell’esercito russo in Ucraina nell’ambito dell’esercizio delle funzioni di deputato municipale del distretto Krasnoselsky di Mosca e, come tale, avrebbe dovuto essere coperto da immunità. La Corte ha spiegato che tale istituto protegge i deputati solo per atti legati al loro mandato e che, pertanto, essi non possono essere perseguiti per le opinioni espresse, ma, “in virtù del principio generale di divieto di abuso del diritto, l’immunità non può essere invocata per evitare di incorrere in responsabilità per insulti, diffamazione o altri illeciti incompatibili con la funzione dell’istituto e con lo status di deputato”. Il reato di cui all’art. 207.3 c.p. rientra tra questi. E anzi: ove la diffusione di informazioni false sul conto di organi dello stato avvenga per opera di un politico la pena prevista è ragionevolmente aumentata in virtù di un’aggravante. Insomma, anche l’immunità parlamentare è depotenziata proprio nei casi in cui dovrebbe tutelare la libertà politica, senza alcuno scrutinio stretto di costituzionalità.

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