L’appuntamento Mondiale dell’Italia del rugby femminile

La Nazionale debutta nella Coppa del mondo di rugby donne contro la Francia sabato sera. “Ce le giocheremo partita per partita. Meglio cominciare con le transalpine, le più forti”. Cosa dicono le nostre atlete alla vigilia

Decima edizione, 40 giorni, 16 squadre, 32 partite, otto stadi, compreso quello della finale, Twickenham, la capitale del mondo ovale. Due secoli e due anni dopo, la Coppa del mondo del rugby donne torna dove tutto cominciò: 1823, Inghilterra, Rugby College, William Webb Ellis, la trasgressione a una regola del football (prendere e correre con il pallone fra le mani) codificata ed eletta a regola, simbolo, elogio di un altro sport. E sabato 23 agosto, al Sandy Park di Exeter (e in diretta su RaiSport e RaiPlay), alle 21.15 (ora italiana), l’Italia debutta contro la Francia nella prima delle tre partite del quarto dei quattro gironi eliminatori (le altre squadre del nostro girone sono Sudafrica e Brasile: ai quarti di finale passano le prime due).

“L’accoglienza – racconta Emma Stevanin, mediano di apertura della nazionale (24 caps) e del Valsugana di Padova – è stata fantastica, inimmaginabile, quasi commovente. La città, le istituzioni, le autorità, l’albergo, il campo, soprattutto la strada, fra la gente comune, c’era addirittura chi ci conosceva per nome e cognome. Insomma, un piacere, un onore, un privilegio. E, almeno per noi italiane, la consapevolezza che questa è una nuova straordinaria opportunità per guadagnare in visibilità, riconoscimento e ancora rispetto. Nonostante tutto, dal campionato al Sei Nazioni, il rugby donne in Italia continua a suonare spesso come una stranezza. Si può fare?, chiedono stupiti. Davvero?, ribadiscono incerti. Le differenze fra uomini e donne esistono ed esisteranno sempre, a cominciare dall’impegno fisico. Ma questo può anche rivelarsi un vantaggio femminile, con una maggiore attenzione alla tecnica e alle strategie che non agli impatti e agli scontri. Dunque partite più facili da giocare, arbitrare e seguire”.

“Chi lo avrebbe mai detto – confida Francesca Granzotto, estremo della nazionale (21 caps), emigrata pochi giorni fa dalla Capitolina di Roma ai Chiefs di Exeter – il giorno in cui, ero una bambina, cominciai a rincorrere un pallone che sembrava un uovo di Pasqua, che sarei arrivata qui nell’Olimpo di questo sport vissuto anche come una religione. Ed esordire ai Mondiali proprio nella città dove vivrò e giocherò quest’anno è una felice coincidenza. Avevo voglia di un’altra esperienza all’estero. Ero venuta in Inghilterra al quarto anno del liceo scientifico, il rugby era materia scolastica, fisica ma anche scientifica e umanistica, con tanto di voto ma soprattutto di valori. Adesso il livello sarà più alto, professionale, anzi, professionistico, una sfida e una svolta, ma sempre con lo stesso divertimento di quando ho cominciato e le stesse emozioni che mi hanno accompagnato, sapendo che al primo placcaggio in difesa o al primo break in attacco spezzerò quella tensione per trasformarla in energia, concentrazione, voglia”.

L’Italia di Stevanin e Granzotto, ma anche di Sofia Stefan (mediano di mischia a Tolone, 98 caps, autrice della meta più bella al mondo nel 2023) ed Elisa Giordano (terza ala al Valsugana, capitana, 75 caps) nonché di Fabio Roselli (allenatore dal 2025), ha affrontato la Francia già in 30 partite: un pareggio (nella prima partita, a Riccione, nel 1985), cinque vittorie e 24 sconfitte. L’ultima volta nel Sei Nazioni a Roma, 21-12 per le azzurre alla fine del primo tempo, poi la rimonta delle Bleus fino al 34-21 finale. “Il bello del rugby – spiega Stevanin – sta nella sua imprevedibilità. La scorsa settimana, Sudafrica-Australia uomini, dopo il primo tempo gli Springboks sembravano imbattibili, invece nel secondo i Wallabies sono riusciti a ribaltare match e risultato. Il bello del rugby sta nel poter cambiare la storia da un momento all’altro. Il bello del rugby sta nella responsabilità di tutte e tutti in tutto. Il bello del rugby sta nelle 15 che cominciano dal campo, ma anche in quelle otto che subentrano dalla panchina”.

L’Italia è consapevole delle difficoltà del proprio girone. “Ce le giocheremo partita per partita – sostiene Giordana Duca, seconda linea della nazionale (58 caps) e del Valsugana di Padova – Meglio cominciare dalla Francia, la più forte, poi con Sudafrica e Brasile, studiate direttamente qui alla Coppa del mondo oppure nei filmati, concentrandoci sul nostro gioco e sui nostri punti di forza e sapendo che ogni partita ha la sua storia. La Francia può contare su grandi individualità soprattutto in attacco, l’Italia su una grande difesa. La Francia punta sulla varietà del gioco e sulla pressione nelle collisioni, l’Italia sul drive e sul gioco di situazioni, movimento, velocità”.

E le favorite per la vittoria finale? Granzotto: “Inghilterra, Nuova Zelanda e, possibile sorpresa, Canada”.

Il bello del rugby sta per ricominciare.

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