Tokyo guarda all’Ucraina e pensa all’Asia orientale: Vladimir Putin non ce l’avrebbe fatta senza Xi
All’ultima riunione della cosiddetta coalizione dei volenterosi, la piattaforma di paesi che lavorano a un piano per la sicurezza dell’Ucraina, fra i 31 partecipanti c’erano anche tre rappresentanti di altrettanti paesi lontani geograficamente dall’Europa ma sempre più coinvolti nei colloqui. L’altro ieri, con la maggior parte dei leader europei e della Nato, c’era anche il primo ministro del Giappone Shigeru Ishiba, che poi, parlando ai giornalisti, ha detto che seguirà “con attenzione le prossime discussioni”, e valuterà “ciò che il Giappone può e deve fare, compresi i vari aspetti legali e di capacità, per svolgere un ruolo adeguato”. La Costituzione giapponese post bellica limita il raggio d’azione di Tokyo, ma sin dall’inizio dell’invasione su larga scala dell’Ucraina da parte della Russia, il paese ha fornito assistenza a Kyiv con forniture non letali e addestramento. Anche il primo ministro australiano Anthony Albanese era tra i partecipanti, come il suo omologo neozelandese Christopher Luxon. Entrambi si sono detti aperti alla possibilità di partecipare a eventuali coalizioni di Forze di peacekeeping in Ucraina. Tra i paesi democratici alleati nell’area dell’Indo-Pacifico mancava solo la Corea del sud: il nuovo presidente sudcoreano Lee Jae-myung ha detto alla stampa di non essere “stato invitato”. In passato Lee ha espresso più volte il suo scetticismo riguardo all’avvicinamento di Seul alla Nato.
Ed era contrario anche alla difesa collettiva dell’Ucraina (con frasi anche molto forti come: “Perché dovremmo immischiarci nella guerra di qualcun altro?” e “un politico alle prime armi ha provocato la Russia”). In Giappone la situazione è molto diversa. Sono pochissimi, e quasi tutti di estrema sinistra, i media che non sostengono l’Ucraina. L’opinione pubblica è molto coinvolta. Già lo scorso anno Ishiba ha firmato un accordo decennale con il presidente ucraino Volodymyr Zelensky per la fornitura di equipaggiamenti non letali, e la scorsa settimana aveva detto di sentire “un forte senso di crisi per il fatto che ciò che sta accadendo in Ucraina potrebbe verificarsi anche in Asia orientale”. A Tokyo la preoccupazione è che una Russia più forte vuol dire anche una Cina e una Corea del nord più forti. Lunedì, durante una visita in Giappone, il ministro degli Esteri tedesco Johann Wadephul ha detto che “la guerra della Russia è resa possibile dal cruciale sostegno cinese”, ma il presidente americano Donald Trump sembra avere avuto finora un approccio piuttosto morbido con Pechino, e non solo sulla questione ucraina. Dopo averla annunciata più volte, da quando ha iniziato il suo secondo mandato alla Casa Bianca, Trump ha parlato al telefono con Xi solo una volta a giugno, e per discutere solo di dazi – come sottolineato da entrambe le parti. Dopo aver fatto diverse concessioni sulla vendita di microchip cruciali nella competizione tecnologica fra America e Cina, ieri la Casa Bianca è tornata ufficialmente su TikTok, il social media di proprietà cinese che un tempo Trump voleva vietare in tutta l’America, e che è formalmente vietato sugli smartphone di quasi tutta l’amministrazione pubblica americana per ragioni di sicurezza.
Non è un caso se tra le proposte del Cremlino arrivate durante il vertice fra il presidente della Federazione russa Vladimir Putin e Trump ci fosse anche l’ipotesi della Cina di Xi Jinping come “garante” delle condizioni di sicurezza dell’Ucraina. A marzo era circolata sulla stampa tedesca l’indiscrezione di un invito, da parte di Bruxelles, nei confronti della Repubblica popolare cinese a far parte della coalizione dei volenterosi per l’Ucraina. Pochi giorni dopo, il ministero degli Esteri di Pechino aveva definito “completamente false” le notizie di una potenziale forza di peacekeeping cinese in Ucraina.