Trump è fiducioso: si farà. Il Cremlino invece prende tempo. Resoconti discordanti e intenzioni della Russia su un incontro che la Casa Bianca crede imminente
La telefonata fra Donald Trump e Vladimir Putin è durata 40 minuti. Il presidente americano l’ha conclusa soddisfatto, dichiarando di essere riuscito nell’obiettivo di preparare un vertice con il capo del Cremlino e il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky. Putin ha affidato al suo consigliere per la politica estera, l’ex ambasciatore a Washington Yuri Ushakov, il resoconto della telefonata. Trump ha scritto che ci sarà prima un bilaterale tra i leader di Russia e Ucraina, poi un trilaterale in sua presenza. Putin ha fatto dire a Ushakov che Mosca è disponibile a un incontro tra le delegazioni russa e ucraina, con la possibilità di alzare il livello della rappresentanza. Non alludeva alla presenza dei presidenti.
Come spesso accade nelle conversazioni fra Trump e Putin sembra che i due prendano parte a telefonate diverse. Trump ha detto che l’incontro avverrà entro fine agosto; alle sue affermazioni, sono seguite valanghe di dichiarazioni, indiscrezioni, tiri a indovinare su dove si possa tenere un bilaterale tanto complesso. Due fonti vicine alla telefonata, non si sa se tanto vicine da essere nelle stanze dei presidenti, hanno rivelato all’Afp che da parte di Putin ci sarebbe anche stata una proposta: faremo l’incontro a Mosca. Un metodo comprovato dalla diplomazia russa è fare offerte talmente strampalate ed eccessive da forzare la controparte a rifiutare. Secondo le fonti che hanno parlato con l’Afp, Zelensky avrebbe risposto negativamente all’offerta di un incontro a Mosca e se davvero Putin ha proposto la capitale della Federazione russa, sapeva che il presidente ucraino avrebbe rifiutato: non si tengono i negoziati nel paese aggressore e, inoltre, chi garantirebbe la sicurezza di Zelensky, che a inizio dell’invasione del 2022 i sabotatori russi presenti a Kyiv volevano uccidere? La motivazione ucraina a resistere è stata anche sostenuta dalla figura di Zelensky che, anziché fuggire, scelse di rimanere in Ucraina nonostante le intelligence alleate lo avvertissero del rischio per la sua vita. Per Putin, Zelensky è il nemico, e ha più volte detto che uno degli obiettivi della sua operazione militare speciale è liberare l’Ucraina dalla sua leadership da denazificare. Ammesso che l’offerta di andare a Mosca ci sia stata davvero, il presidente ucraino non avrebbe potuto accettare di essere ricevuto al Cremlino. Il Kommersant ha fatto una lista di tutti i possibili luoghi di incontri. Gli europei hanno proposto Ginevra, anche Roma è tornata fra le opzioni, ma il giornale russo ha citato, oltre a Mosca: Budapest, Istanbul e Minsk.
Al telefono con Trump, Putin probabilmente non ha rifiutato né accettato. E’ stato Sergei Lavrov a far capire la posizione di Mosca. Il ministro degli Esteri russo ha il ruolo di ridimensionare le situazioni. Non lusinga, non blandisce. Oltre all’abbigliamento nostalgico – si è presentato in Alaska, venerdì scorso, con indosso una felpa con la scritta Cccp (Urss) – il ministro veste i panni del duro, diplomaticamente parlando. Lavrov ha chiarito: l’incontro fra Putin e Zelensky deve essere “preparato con estrema attenzione” – non è un “no”, ma un “vedremo”; se Kyiv si allineasse all’occidente, “le basi del riconoscimento dell’Ucraina come stato indipendente sparirebbero”. La seconda affermazione significa che l’adesione di Kyiv alla Nato o all’Unione europea continuano a essere linee rosse per Mosca che quindi rifiuta le migliori garanzie di sicurezza per il paese che ha attaccato.
Uno degli obiettivi di Putin in Alaska era fare in modo che il presidente americano tornasse a fare pressione su Zelensky e ad accusare gli ucraini di non essere pronti alla pace. Secondo l’analista russa Tatiana Stanovaya, Putin ha già messo sul tavolo le sue condizioni, impone che vengano soddisfatte prima di concedere un vertice a Zelensky. Per Zelensky, invece, l’incontro è necessario per parlare dei territori ucraini occupati. Il Cremlino prende tempo, finge di negoziare e tiene in vita l’incontro fantasma su cui si sommano speranze, dicerie, speculazioni e ambizioni trumpiane.