Zelensky è pronto a incontrare Putin ed evita di parlare di Donbas. I leader cercano di cancellare l’effetto Alaska. Lo scudo degli europei
Prima sono arrivati i sette leader, lo scudo europeo composto dal tedesco Friedrich Merz, l’italiana Giorgia Meloni, il francese Emmanuel Macron, il finlandese Alexander Stubb, il britannico Keir Starmer e la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen con il segretario generale della Nato Mark Rutte. Poi è arrivato Volodymyr Zelensky in giacca scura. Il presidente ucraino è sprofondato sulla poltrona dello Studio Ovale al fianco di Donald Trump, e aveva bene in mente quando proprio da lì venne cacciato sei mesi fa con la frase: “Torna quando sarai pronto per la pace”. Per la pace è stato sempre pronto. E’ stato lungo il percorso per farlo capire a Trump. Con dignità e senza accettare interpreti, Zelensky ha detto di essere pronto a un trilaterale con Vladimir Putin e a organizzare le elezioni in Ucraina. Ha scherzato con il giornalista Brian Glenn che durante la visita precedente lo aveva ridicolizzato per la decisione di non indossare mai giacca e cravatta. Zelensky è parso pronto a tutto, Trump mirava a prendere il merito per qualsiasi affermazione. Si è vantato dei contratti per vendere le armi da dare a Kyiv e Zelensky le ha definite una garanzia di sicurezza: servono ora a difenderci e serviranno per rimanere sicuri. Trump ha sottolineato più volte che gli europei sono desiderosi di dare garanzie a Kyiv: “Loro sono la prima linea di difesa”, ha detto parlando dei sette leader accorsi alla Casa Bianca e sminuendo la partecipazione americana. Durante l’incontro a porte chiuse, Zelensky ha spiegato a Trump la situazione sul campo di battaglia e ha evitato di parlare dei territori pretesi da Mosca puntando sul fatto che dovrà discuterne faccia a faccia con Putin.
Venerdì scorso il presidente americano era andato in Alaska con l’obiettivo di ottenere un cessate il fuoco. Dopo aver incontrato Putin ha cambiato idea: “Ho concluso sei guerre, tutte con un accordo, nessuna con un cessate il fuoco”. Putin non ha mai voluto accettare una tregua, la fermezza di Trump nel difendere il principio secondo il quale una pace conclusa rapidamente è più duratura di un cessate il fuoco dimostra che le tracce dell’incontro con il capo del Cremlino sono difficili da cancellare e ieri solo Merz ha avuto la forza di ricordare quanto invece sia fondamentale fermare le bombe anche prima che ci sia un accordo. Mosca ha detto cosa vuole: cessione dell’intero Donbas, incluse le zone non conquistate, congelamento del resto della linea del fronte, nessuna forza della Nato nel territorio ucraino, esercito di Kyiv disarmato. Il cessate il fuoco, vecchio obiettivo di Trump, di fatto è diventato il nuovo spauracchio della propaganda di Mosca. Il secondo obiettivo del presidente americano è l’organizzazione di un incontro a tre: finora per Putin incontrare Zelensky è stata una linea rossa. Gli europei sono andati a Washington per due motivi. Uno ufficiale: mettere sul tavolo cosa sono disposti a fare per difendere Kyiv, dalla proposta italiana sull’articolo 5, ribadita ieri da Meloni e lodata da Trump, alla forza di interposizione. L’altro motivo è informale, ma centrale: cercare di cancellare dalla testa di Trump l’influenza di Putin, che ieri, mentre alla Casa Bianca si discuteva di pace, ha bombardato quasi tutto il territorio dell’Ucraina. A Kharkiv sono morte almeno cinque persone. Il messaggio di guerra, ieri, da Trump non è stato recepito: “Amo gli ucraini, amo i russi… vedrete la volontà di Putin di trovare una soluzione”, ha detto.