Per Israele anche protestare è uno strazio

Domenica gli israeliani hanno preso una decisione difficile e iniziato un grande sciopero per chiedere la fine della guerra nella Striscia. Chi scarica su di loro la responsabilità di fermare la nuova invasione di Gaza City pecca di ipocrisia. Spetterebbe alla comunità internazionale dare a Hamas un ultimatum

Israele è un paese consapevole di avere un nemico che lo osserva, lo studia e gli usa contro le sue stesse emozioni. Domenica gli israeliani hanno deciso di protestare e iniziare un grande sciopero per chiedere la fine della guerra nella Striscia di Gaza e un accordo globale per far tornare a casa tutti gli ostaggi insieme. Non tutti i manifestanti che hanno aderito alla protesta hanno un parente in ostaggio, ma la tragedia è nazionale. La tragedia in realtà è doppia, tripla, infinita, perché un popolo forzato alla guerra a causa dell’odio dei suoi vicini capisce che fermare la guerra adesso vuol dire lasciare a quel che resta di Hamas la possibilità di rimanere a Gaza, riorganizzarsi e dire: noi siamo sempre qui, abbiamo massacrato gli israeliani il 7 ottobre e non ci hanno sconfitto. Non è così, Hamas è l’ombra di quel che era il 7 ottobre, l’unica cosa che non si è fiaccata è la sua propaganda. Protestare vuol dire mostrare una frattura interna che a Hamas piace: anche per questo chi sciopera in Israele lo fa dopo aver preso una decisione difficile.

Il trauma è vivo, aumenta ogni giorno, gli ostaggi sono ormai figli, sorelle, padri di tutta una nazione accusata di ogni nefandezza. Oggi gli israeliani sono caricati anche del compito di fermare la nuova invasione di Gaza City, mentre spetterebbe alla comunità internazionale alzarsi, dare a Hamas un ultimatum corale, in aggiunta a quello del governo e dall’esercito di Israele. Non accade, la comunità internazionale attende stigmatizzando Israele e nel tempo d’attesa promette il riconoscimento dello stato palestinese. Al Cairo sono in corso i colloqui per cercare di far ripartire i negoziati tra Israele e Hamas per trovare un accordo. Gli egiziani e i qatarini sono pronti a illustrare a Hamas le nuove proposte. Per far capire ai terroristi che la questione è seria, sono stati coinvolti anche il presidente egiziano al Sisi e il primo ministro del Qatar Mohammed bin Abdulrahman al Thani in prima persona. Senza pressione internazionale, è prevedibile un nuovo e netto “no” di Hamas a qualsiasi proposta.

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