L’abuso della custodia cautelare, la vergogna che riempie le carceri

Tra i tentativi di arginare il sovraffollamento degli istituti di pena, ce n’è uno, tabù per la politica, che chiama in causa i magistrati e il ricorso alla carcerazione preventiva. Un primo passo avanti nella riforma Nordio. Ma entrerà in vigore tra un anno

Il problema purtroppo è sempre quello: ma qualcuno, gli errori, in quel mondo, li paga o no? Il sovraffollamento carcerario, per fortuna, è diventato un tema trasversale con cui misurare la qualità del nostro stato di diritto, e le vergogne modello Delmastro restano grazie al cielo confinate nel perimetro ristretto della cialtroneria di stato. Per la sinistra, il sovraffollamento torna di più quando si trova all’opposizione che quando si trova al governo, e di solito la questione viene utilizzata più per attaccare i politici che governano che per difendere i detenuti che arrancano. Il punto però che ci si dimentica sistematicamente di considerare – soprattutto a sinistra – quando si parla di sovraffollamento carcerario riguarda un fatto che meriterebbe di essere valorizzato con più continuità. Un fatto che, per essere capito e affrontato, dovrebbe essere raccontato senza ideologia, ma servendoci di alcuni numeri, che riguardano anche un fatto collegato alle recenti inchieste sull’urbanistica e alle recenti scarcerazioni volute dal Tribunale del riesame, che ha mostrato le molte fragilità dell’impianto accusatorio dei pm di Milano.

Avete presente le carcerazioni preventive? Avete presente le migliaia di persone cacciate in galera ogni anno senza una sentenza definitiva? Avete presente le moltitudini di persone arrestate sulla base di sospetti, e non di prove, e che regolarmente dopo qualche settimana di fogna vengono accompagnate, senza scuse, fuori di prigione, dopo una valutazione del tribunale del riesame? Ecco, ci arriviamo.

Il primo dato, probabilmente lo conoscete, ed è quello offerto qualche giorno fa dall’associazione Antigone: al 30 aprile 2025, i detenuti erano 62.445, con una capienza regolamentare di 51.280 posti, pari a un tasso di affollamento ufficiale del 121,8 per cento, ma considerando circa 4.500 posti non disponibili, il tasso reale arriva almeno al 133 per cento. Di fronte a questi numeri di solito le soluzioni suggerite dalla politica sono quattro. La prima, politicamente complicata, quasi impossibile, è un’amnistia. La seconda, meno complicata ma raramente adottata, è l’indulto. La terza, saggia, è la revisione di alcune pene per reati non gravi, aumentando per esempio l’utilizzo dei domiciliari. La quarta, più estrema, è la richiesta di aumentare gli spazi per i detenuti, costruendo nuove carceri, e di solito chi scommette su questa strada lo fa anche per giustificare le proprie politiche securitarie, e d’altronde l’unico modo per essere coerenti con il populismo penale di destra, aumentare le pene per ogni reato di grande impatto sociale, è cercare nuovi modi per sbattere in galera chi sconta, oltre che le proprie colpe, i frutti della demagogia securitaria.

Ma c’è una quinta strada – in teoria la più veloce, la più sicura, la più corretta – che non viene quasi mai discussa perché costituisce un tabù sia per la sinistra sia per la destra, perché contribuirebbe a ridimensionare uno strumento necessario per chiunque utilizzi la giustizia come una leva per raggiungere obiettivi politici per via giudiziaria: la carcerazione preventiva, appunto, con la quale, anche in assenza di prove, il processo mediatico può ottenere uno scalpo, trasformando i malcapitati di turno in colpevoli fino a prova contraria. Ebbene, cosa ci dicono i numeri sulla carcerazione preventiva? Ci dicono che in Italia la custodia cautelare rappresenta il 28,9 per cento dei detenuti e ci dicono che questa misura è applicata in una percentuale nettamente superiore alla media dell’Unione europea di circa il 20 per cento. In Germania è circa il 15 per cento, in Francia il 22, in Spagna il 18 per cento (dati Eurostat). A questi dati ne va aggiunto poi un altro ed è quello offerto dal ministero della Giustizia: dei 15-20 mila detenuti che si trovano in carcere senza una sentenza definitiva (oggi sono poco più di 18 mila persone), la metà vedrà la propria posizione o archiviata o oggetto di assoluzione. Ci si potrebbe chiedere chi paga quando un magistrato manda agli arresti un cittadino innocente (tra il 2017 e il 2024 sono stati 89 i procedimenti disciplinari nei confronti di magistrati per ingiusta detenzione. Di questi, nove hanno prodotto sanzioni effettive: otto censure e un trasferimento; gli altri si sono risolti con 44 “non doversi procedere” e 28 assoluzioni).

Ma la domanda è più generale e riguarda una battaglia che dovrebbe essere patrimonio di tutti, specie di chi si sente lontano dal perimetro della cialtroneria giudiziaria: ci vuole così tanto a capire che intervenire sugli abusi della carcerazione preventiva non è solo un modo per togliere cartucce al cannone del circo mediatico, non è solo un modo per far spendere meno lo stato per i risarcimenti per ingiusta custodia cautelare (dal 1992 a oggi, sono stati spesi 648 milioni di euro, di cui 42 milioni solo nell’ultimo anno considerato, per risarcimenti dovuti a ingiuste detenzioni), ma è anche un modo per ridurre il dramma del sovraffollamento carcerario?

La maggioranza, con un primo pezzo della riforma Nordio, ha approvato un disegno di legge che introduce una novità, per innalzare le garanzie a tutela dell’indagato: l’ordinanza che applica la custodia cautelare in carcere durante le indagini preliminari deve essere adottata da un collegio di tre giudici, anziché da un giudice monocratico. L’entrata in vigore è prevista per agosto 2026, e se la collegialità fosse già stata introdotta probabilmente gli indagati di Milano, incarcerati e poi scarcerati dal Riesame, non sarebbero mai stati incarcerati. Si tratta di un piccolo sasso nello stagno. Si tratta però di una direzione che meriterebbe di essere condivisa da tutti coloro che hanno a cuore il tema del sovraffollamento carcerario, e dunque il rispetto dello stato di diritto. Una direzione che però per essere perseguita e imboccata avrebbe bisogno di un’iniezione di coraggio trasversale, per ricordare e denunciare che il problema numero uno legato alla presenza di carceri affollate non riguarda il populismo della politica ma riguarda ancora una volta l’irresponsabilità di una magistratura libera di giocare come crede, senza pagare dazio, su una vergogna chiamata abuso della carcerazione preventiva. Ricordarselo, prima del prossimo appello per i diritti nelle carceri.

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  • Claudio Cerasa
    Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e “Ho visto l’uomo nero”, con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.

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