Ascesa e declino delle stelle degli scacchi. Gli anniversari

Cinquant’anni fa si avviava a conclusione la splendente parabola di Bobby Fischer, mentre fra le fila sovietiche emergeva un nuovo protagonista, pronto a un decennio di dominio incontrastato: Anatoly Karpov. Che, dieci anni dopo, nulla poté contro l’esplosione del migliore di tutti i tempi: Garry Kasparov

Cinquant’anni fa si concludeva una mirabile parabola scacchistica a stelle e strisce, tramontava la stella più splendente che il gioco, fino ad allora, avesse mai conosciuto, Robert James Fischer. Sempre cinquant’anni fa, fra le silenziose ma affollate fila sovietiche, iniziava a emergere un nuovo, dirompente protagonista, Anatoly Karpov.

Erano passati quasi tre anni dal celeberrimo match del secolo fra “Bobby” e il russo Boris Spassky. Il primo aveva trionfato, strappando con violenza la corona mondiale all’intera macchina scacchistica sovietica, che ne era in possesso da decenni. L’aveva fatto da solo, e l’aveva fatto facendo rumore. Di scacchi tutt’un tratto si parlava ai telegiornali, se ne scriveva sulle più disparate riviste, le rarissime foto del campione americano finivano su ogni copertina. Ma Bobby, all’apice del successo, sparì. Non giocò neanche una partita di torneo, non giocò (dopo trattative estenuanti e a tratti grottesche) il match per conservare il titolo, che lo avrebbe visto confrontarsi con lo sfidante. Karpov, appunto.



Giusto cinquant’anni fa, il 20 agosto 1975, Karpov faceva la sua prima apparizione da campione del mondo, in Italia, a Milano. Con la sua vittoria inaugurava un decennio di dominio incontrastato. Le responsabilità di un campione, è facile immaginarlo, possono essere gravose, oppressive, intollerabili. E Karpov questo colossale macigno se l’è ritrovato sulle spalle senza aver avuto l’occasione di strapparlo all’“Atlante” rivale, a Fischer, che tanto in alto lo aveva portato, e poi, come Sisifo, lo aveva visto (anzi, fatto) ricadere inesorabilmente in basso.

Ma Karpov aveva la stoffa di un campione vero, di un Ercole cosciente delle sue fatiche, e cosciente parimenti del suo dovere di affrontarle. Era un dovere nei confronti del partito, che fin da ragazzino lo aveva sostenuto, nei confronti del paese, per il quale rappresentava il riscatto, ma anche nei confronti degli scacchi stessi. Il suo (primo) rivale, il concittadino, e poi disertore, Victor Korchnoi, amava ricordare ad Anatoly la sua (presunta) inferiorità con Fischer, o, meglio, con il fantasma di un giocatore che fu. A Karpov non interessava. Non gli interessava essere il volto delle copertine delle riviste (né era particolarmente fotogenico), non gli interessava essere una fiamma ardente che avrebbe potuto spegnersi al primo colpo di vento. A lui interessava essere un gigante, essere roccia, essere fondamenta. Gli interessava fare scuola, e più di tutto gli interessava vincere.



Quarant’anni fa si concludeva una mirabile parabola scacchistica. Stavolta, era quella di Anatoly Karpov. La roccia russa che aveva soffocato la fiamma americana nulla ha potuto contro una supernova, un’esplosione di energia che non poteva non provenire dal migliore di tutti i tempi. Il suo nome? Garry Kasparov.

La partita: Karpov vs Unzicker, 1-0


Un quesito strategico. Quale iconica mossa gioca il bianco in questa posizione per assicurarsi il controllo della colonna a?

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