I film e i documentari trasmessi in televisione per raccontare quanto sono antiche le relazioni tra Russia e Stati Uniti. Una mostra per narrare la collaborazione tra l’esercito sovietico e quello americano durante la Seconda guerra mondiale. Dal ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca, il racconto dei rapporti tra Washington e Mosca è stato riscritto, alla ricerca di una forma di alleanza eroica. Anche nelle settimane in cui Donald Trump si è lamentato di Putin, gli ha dato del pazzo, ha ammesso di sentirsi preso in giro, ha minacciato “gravi conseguenze”, la propaganda di Mosca ha continuato a insistere sulla nuova qualità dei rapporti con Washington. Nel giorno del vertice fra Trump e Putin nella base di Elmendorf-Richardson, fuori Anchorage, capitale dell’Alaska, dai russi non potevano arrivare vibrazioni in contrasto. Soltanto il ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov, si è presentato con una felpa con la scritta Urss (CCCP). Per il resto, il coro della propaganda è stato di armonia, emozione, ringraziamento. Tutti, Lavrov incluso, hanno detto che finalmente è possibile spiegare la posizione di Mosca, cosa che con l’ex presidente Joe Biden non è stato mai possibile fare: sanno che a Trump piace prendere le distanze dal suo predecessore. Margarita Simonyan, la direttrice di Rt, l’emittente russa creata per portare in giro per il mondo la versione russa dei fatti, ha scritto su X: “Trump è volato in Alaska per incontrare il Capo. Stringiamo i pugni così forte che le unghie ci si conficcano nei palmi”. Per rivolgersi a Putin ha usato la parola nachalnik, non presidente ma capo, è un modo per indicare che l’inquilino del Cremlino è più che un uomo di stato, è la persona da cui dipende lo stato.
Anche Putin ha pensato a come accompagnare il suo viaggio verso Anchorage con una dose robusta di propaganda e per il suo volo ha previsto uno scalo nella città di Magadan, nell’estremo oriente russo. Durante la sua visita nella città svuotata si è fatto riprendere mentre teneva riunioni con i funzionari del posto e supervisionava la qualità dei prodotti locali, come se stesse trascorrendo una giornata di lavoro come tante fra una visita istituzionale e l’altra e non il momento preparatorio prima di un summit storico.
In contrasto con il capo del Cremlino che ripartiva con tutta calma da Magadan, il resto del coro della propaganda russa continuava ad accentuare l’eccezionalità della giornata. Il propagandista Sergei Karnaukov, conduttore monocorde e privo di sorrisi del programma Solovev Live, ha mostrato durante l’ultima puntata un video in cui una ballerina vestita con i colori della Russia e un ballerino abbigliato con le stelle e le strisce si prendono per la mano per iniziare a danzare sulle note di “Maybe I, maybe you” degli Scorpions, mentre dietro al loro ballo scorrono le immagini della storia della collaborazione tra russi e americani, dalle guerre allo spazio. L’Ultima immagine, davanti alla quale si fermano i ballerini, mostra una stretta di mano tra Putin e Trump. Le allusioni sono molte, ma la più potente è al gruppo tedesco che nel 1989 a Mosca partecipò al Festival musicale della pace allo Stadio Lenin. Di ritorno, composero “Wind of change”, in cui cantavano: “Seguo la Moscova fino al Parco Gorkij e sento il vento che cambia”. Era un inno alla pace e al cambiamento, un inno del disgelo e non è un caso se Karnaukov, per il suo video, ha scelto proprio un’altra canzone degli Scorpions, le cui strofe recitano: “Forse io, forse tu siamo come soldati dell’amore, nati per portare la fiamma e portare luce nell’oscurità”.
Karnaukov non si è interessato al fatto che gli Scorpions, durante gli ultimi concerti, non soltanto hanno portato la bandiera ucraina sul palco, ma hanno anche cambiato una parte della canzone “Wind of change” aggiungendo una strofa: “Now listen to my heart, it says Ukraine”, Ora ascolta il mio cuore, dice Ucraina.