I piccoli rom di Milano non sono imputabili. Ma politica, giustizia ciarliera e sociologia invece sì

Salvini dice di “radere al suolo” il campo di via Salvanesco, da cui sono usciti i quattro bambini che hanno travolto e ucciso con un’auto rubata Cecilia De Astis. Parole che sono il più comodo degli assist per permettere a tutti gli altri di nascondersi dietro le fetenzie della destra “low and disorder”. La legalità, un fantasma affrontato solo con belle astrazioni

“Radere al suolo” un campo rom, quello di via Salvanesco a Milano da cui sono usciti i quattro bambini che hanno travolto e ucciso con un’auto rubata Cecilia De Astis, è il peggior modo di esprimere la peggiore delle idee, e bene ha fatto il sindaco Sala a rispondere a Salvini che “sulla morte di una persona è vergognoso speculare”. Altri hanno detto “sciacallaggio”, e se lo merita. C’è però anche di peggio, nelle gride senza costrutto di Salvini: parole come le sue sono il più comodo degli assist per permettere a tutti gli altri di nascondersi dietro le fetenzie della destra “low and disorder”, sono l’alibi per evitare di parlare dei fatti veri, della cosa in sé. Di un problema grave di legalità e persino di mancato controllo del territorio che nasce da una politica ipocrita, figlia di una sociologia un tanto al pezzo per cui è sempre colpa del “disagio sociale”, della “mancata integrazione” ma in cui manca sempre il principio di responsabilità. Più comodo buttarla in sociologia, in scusante politica, o peggio ancora di trincerarsi dietro la lingua di legno di una magistratura al di sotto del suo ruolo. Per sintetizzare questa tecnica di nascondimento basta l’attacco del commento di Nicoletta Verna sulla Stampa: “Prima e al di là di qualunque polemica, strumentalizzazione, contrapposizione tra destra e sinistra, buonismo e razzismo”. Ma prima di cosa? Prima di una donna ammazzata perché qualcuno, a partire dai genitori, o dalla loro comunità di appartenenza, non dalla società in astratto, si disinteressa del principio di legalità? Dare la colpa ai Salvini è una scorciatoia.


Anche Piantedosi, del resto, non è certo contento delle sparate del capo della Lega. Che servono però a evitare di domandarsi come mai quei campi abusivi non siano non diremo certo “smantellati”, ma bonificati, controllati, visitati ogni tanto dalle forze dell’ordine, almeno per vedere se i bambini vanno a scuola. Se il sindaco Sala avesse usato metà della cazzimma con cui risponde a Salvini per rintuzzare le assurdità delle inchieste sull’edilizia saremmo in un’altra Milano. Più comodo assumere l’aria meditabonda, tutti i giornali, e parlare del “disagio degli adolescenti”. Ma che c’entra? Comodo andare a intervistare i magistrati in pensione, come Maria Carla Gatto, ex presidente del Tribunale per i minorenni a Milano, che dà la colpa alla scuola: “Inutile punire gli under 14, la soluzione è la scuola”. La scuola è il secondo paravento meccanico, dopo la fragilità economica, ma evitando elegantemente di dire che quei quattro bambini a scuola non sono mai andati, perché dai campi rom non li mandano e non c’è uno straccio di carabiniere di Pinocchio che vada a prenderli.

Come è possibile che si creino giustizia e sicurezza se sono affidate al burocratese della magistratura che si esprime così: “Una mancanza da parte della società di intercettare il disagio e non approntare tutti quegli interventi utili per evitare che i ragazzi non solo violino la legge ma che non abbiano neanche rispetto dell’altro né delle istituzioni”. E poi i castelli in aria delle soluzioni addotte: “La procura presso il Tribunale dei minorenni potrebbe chiedere l’avvio di un procedimento amministrativo con la predisposizione di un progetto educativo da realizzarsi eventualmente anche attraverso il loro collocamento in comunità”. Addavenì. La magistratura, che dovrebbe esercitare il famoso controllo di legalità, partorisce una trafila di astrazioni tribunalizie da regno borbonico. Lo sanno o no che c’è un problema di legalità che non viene affrontato? La procuratrice capo per i minori di Torino, Emma Avezzù, parla del “divario sociale sempre più ampio” e di “famiglie fragili abbandonate a sé stesse”. Sempre un divagare il can per l’aia, come pure “l’ascensore sociale che è venuto meno”. Non funziona, per lei, nemmeno la sottrazione ai genitori dei minori che compiono reati: “Quando i i giudici minorili hanno creato la tutela dei bambini allontanandoli dalle famiglie è nato Bibbiano”.

Infatti i quattro bambini di Selvanesco sono tornati in famiglia. Bene no? Beppe Sala dice che “per quanto riguarda gli insediamenti rom” il Comune “da anni persegue una politica di superamento”. Che fuori dal linguaggio ottuso della politica vuol dire aver fatto poco o nulla. Su Repubblica Viola Ardone ha scritto che “la giustizia non è vendetta: è verità, è riparazione, è azione”. Affermazione che ha senso, ma solo se si premette che giustizia è ristabilimento della legalità, delle responsabilità e quindi anche della punizione – ma i genitori, per quanto difficilmente punibili dalla legge, pare siano già svaniti. Dice però bene Ardone: “Forse la domanda iniziale andrebbe trasformata: non chi ha la colpa di quello che è successo, ma a chi tocca impedirlo. In quale punto della sua giovanissima vita quel bambino è stato abbandonato e da chi”. Certo la colpa non è della società, intesa nella sua comoda astrazione. Forse invece è delle politiche e delle leggi che negano il problema. Certo che se i magistrati qualche volta si occupassero delle chat dei campi abusivi, invece che di quelle degli architetti, sarebbe un’altra Milano.

Di più su questi argomenti:

  • Maurizio Crippa
  • “Maurizio Crippa, vicedirettore, è nato a Milano un 27 febbraio di rondini e primavera. Era il 1961. E’ cresciuto a Monza, la sua Heimat, ma da più di vent’anni è un orgoglioso milanese metropolitano. Ha fatto il liceo classico e si è laureato in Storia del cinema, il suo primo amore. Poi ci sono gli amori di una vita: l’Inter, la montagna, Jannacci e Neil Young. Lavora nella redazione di Milano e si occupa un po’ di tutto: di politica, quando può di cultura, quando vuole di chiesa. E’ felice di avere due grandi Papi, Francesco e Benedetto. Non ha scritto libri (“perché scrivere brutti libri nuovi quando ci sono ancora tanti libri vecchi belli da leggere?”, gli ha insegnato Sandro Fusina). Insegue da tempo il sogno di saper usare i social media, ma poi grazie a Dio si ravvede.

    E’ responsabile della pagina settimanale del Foglio GranMilano, scrive ogni giorno Contro Mastro Ciliegia sulla prima pagina. Ha una moglie, Emilia, e due figli, Giovanni e Francesco, che non sono più bambini”

Leave a comment

Your email address will not be published.