La stretta di Meloni sulla presenza cinese in società strategiche

Per evitare possibili tensioni con Washington, il governo starebbe valutando misure per ridurre le partecipazioni di investitori cinesi in alcune produzioni industriali italiane, sia pubbliche che private. Il caso di Pirelli e di Ansaldo Energia

La Via della Seta non potrebbe essere più lontana da Giorgia Meloni. Nel momento più delicato delle trattative commerciali tra Europa e Stati Uniti, la premier italiana rinsalda l’asse con Washington avallando i divieti sulle produzioni tecnologiche cinesi. Secondo l’agenzia Bloomberg, il governo sta valutando misure per ridurre le partecipazioni di investitori cinesi in aziende del nostro paese considerate strategiche, sia pubbliche che private. Questo per evitare possibili tensioni con il governo statunitense, che proprio in questi giorni ha messo sotto pressione i produttori di microchip che operano in Cina. La reazione di Pechino non si è fatta attendere: il ministero degli Esteri ha affermato che la cooperazione negli investimenti tra Cina e Italia è “mutualmente vantaggiosa e non dovrebbe essere ostacolata da terze parti” e ha auspicato che Roma offra “un ambiente imprenditoriale equo, giusto e non discriminatorio” e salvaguardi i “legittimi diritti e interessi” delle imprese cinesi. In questa fase, la mossa di Roma ha il peso di una scelta che mette in secondo piano la prospettiva di avviare nuove alleanze commerciali e industriali con la Cina. Ma nell’èra del capitalismo di stato, in cui è la geopolitica a dettare legge, è anche una scelta comprensibile se l’intento è evitare che alcune produzioni industriali italiane incontrino una barriera di ingresso negli Stati Uniti che ne potrebbero compromettere l’attività.

Un caso emblematico è quello di Pirelli, su cui il governo è già intervenuto nel 2023 con il golden power a tutela dell’indipendenza del management che denunciava ingerenze nella governance da parte del socio cinese Cnrc/Sinochem. Secondo l’agenzia americana, Washington ha avvertito Pirelli che gli pneumatici dotati di “sensori connessi”, usati anche in Formula uno, potrebbero subire restrizioni sul mercato Usa a causa della proprietà cinese, in linea con le misure americane su software e hardware provenienti da aziende controllate da Pechino. Non è una novità che i dazi siano solo la punta dell’iceberg della Trumpeconomics il cui vero obiettivo è ridefinire le filiere produttive mondiali. Ad ogni modo, una simile prescrizione rischia di tradursi in un vero blocco operativo per l’azienda guidata da Marco Tronchetti Provera, che lo scorso aprile ha già dichiarato che Sinochem non ha più il controllo della società. Al momento non si sa a che tipo di strumento stia pensando Palazzo Chigi, ma l’intento sarebbe quello di rafforzare le prescrizioni che possano limitare l’influenza dei soci asiatici su aspetti tecnologicamente sensibili. E il dossier Pirelli è solo il più evidente tra quelli sul tavolo dell’esecutivo, che starebbe pensando di tutelare anche Cdp Reti, la società che detiene partecipazioni di controllo nelle reti energetiche italiane (Snam, Italgas e Terna) che ha come socio al 35 per cento la State Grid Corporation of China, con due rappresentanti in cda.

Un altro caso è quello di Ansaldo Energia, tra i maggiori produttori mondiali di centrali elettriche: la presenza, pur residuale, della cinese Shanghai Electric (0,5 per cento) impedirebbe alla società di partecipare ad alcune gare negli Stati Uniti. In Italia si contano circa 700 aziende con investitori cinesi, ma il focus del governo sarebbe sulle realtà di maggiori dimensioni attive in settori strategici come energia, trasporti, tecnologia e finanza. Il caso Pirelli, però, è indicativo dell’evoluzione negativa che negli ultimi dieci anni ha avuto il potere di influenza cinese nelle decisioni societarie. L’alleanza iniziale con Pirelli, infatti, risale al 2015 quando nel capitale è entrata la ChemChina, società di stato ma indipendente nella gestione dalle agenzie del partito comunista cinese, a differenza di Sinochem, subentrata nel 2021 a seguito di una fusione. Da allora sono cominciati i problemi di governance in Pirelli culminati con l’intervento del governo con il golden power. Oggi il tema centrale resta legato al divieto di sviluppare alcune tecnologie negli Usa avendo in casa un socio cinese, divieto attuato da Trump ma impostato dalla precedente presidenza di Joe Biden.

La morale di tutta questa storia è che il libero mercato così come lo abbiano conosciuto fino ad oggi non esiste più e che, come ha rilevato il Wall Street Journal nei giorni scorsi, una generazione fa si riteneva che con la liberalizzazione della Cina, la sua economia avrebbe finito per assomigliare a quella americana. Invece, è il capitalismo americano che sta cominciando ad assomigliare alla Cina. E al capitalismo di stato il governo Meloni non fa così fatica ad adeguarsi.

Leave a comment

Your email address will not be published.