Forse l’errore principale nella formazione dell’Europa è stata la continua insistenza sul futuro. Questo ha portato agli intellettuali di oggi, sempre intenti a dirci cosa facciamo di sbagliato e a redarguirci affinché in futuro ci comportiamo meglio
Marc Fumaroli incardinava la definizione di Europa sul senso greco della misura, sul senso romano del diritto, sul senso germanico della comunità e sul senso della libertà d’oltremanica. L’Europa, in effetti, sta tutta qui, all’incrocio e nel bilanciamento di questi quattro principii che hanno informato di sé l’identità di napoletani e danesi, polacchi e spagnoli. Forse l’errore principale nella formazione dell’Europa è stata l’insistenza continua sul futuro, come se la Cee prima e l’Ue poi incarnassero un’utopia astratta e il sole dell’avvenire, quando invece sarebbe stato più facile concentrarsi sul passato e far notare l’evidenza per cui questi quattro nostri sensi ben radicati ci distinguono da americani e russi, eschimesi e coreani. Temo anzi che a questa smania di avvenire si debba anche il progressivo tramonto della tipica figura di intellettuale europeo, di cui Fumaroli è stato un illustre rappresentante al pari (cito i primi che mi vengono in mente) di George Steiner e Umberto Eco, di Johan Huizinga, Paul Hazard, Paul Veyne, Peter Brown; intellettuali in grado di tenere insieme tutto il passato in un solo colpo d’occhio, travolgendo le suddivisioni settoriali per fare una radiografia al modo ormai istintivo in cui pensiamo e agiamo da secoli. Adesso invece l’intellettuale è lì col ditino monitore sempre in resta, intento a dirci cosa facciamo di sbagliato e a redarguirci affinché in futuro ci comportiamo meglio; ma il futuro, per definizione, non arriva mai.