App di incontri e social (e forse tatuaggi nascosti): siamo tutti Papa boys

Gli sguardi son quel che sono, i tatuaggi magari mancano o son nascosti, però questi giovani sembrano proprio tali e quali agli altri. E meno male

Né coi Papa boys né coi romani imbruttiti. Son tempi difficili, questi, in cui ti chiedono continuamente di schierarti, ma per una volta uno vorrebbe non scegliere, e tenere una placida equidistanza. Così, nella pacifica invasione del milione di young pellegrini festanti (e cantanti) arrivati a Roma per il Giubileo dei giovani la scorsa settimana, è possibile una terza via tra i (pochi) critici, soprattutto residenti protestatari perché intrappolati su bus e metropolitane da comitive schitarranti tra boy scout in braghe corte e adolescenti ad altissimi decibel, come in un film di Verdone.

E dall’altra parte invece il pressoché unanime plauso a questa gioventù (e ci mancherebbe). Gioventù che viene dipinta dagli entusiasti con caratteristiche genetiche e antropologiche perfino precipue che la renderebbe opposta al grande popolo secolarizzato degli young maranza. “Sguardi straordinariamente vivi e commossi, uno diverso dall’altro” scrive Susanna Tamaro sul Corriere (be’, sì, è abbastanza noto, spesso gli occhi sono usati anche come strumento di riconoscimento, si usa l’iride apposta). L’altro dato di questa superiorità dei Papa boys sui loro coetanei è la mancanza di tatuaggi: questo piace tantissimo. Per Antonio Polito sempre sul Corriere “Non ho indagato oltre l’apparenza, ma non mi è parso di vedere nemmeno un tatuaggio”. Per Marcello Veneziani, sulla Verità: “Persino a livello epidermico un segno distintivo mi piace sottolineare: quei giovani non erano tatuati; hanno ancora rispetto del loro corpo!”. Terzo segno di riconoscimento, non stanno sui social: “Lo spirito del tempo – che è quello dello scrolling ossessivo e annoiato – sembrava aver reso ormai impossibile quel lungo tempo di attenzione, immobilità e silenzio che ha accompagnato l’adorazione eucaristica. Eppure è accaduto” scrive Tamaro (Polito invece è più possibilista e parla di “missionari digitali”; però addirittura intravede una volontà di purificazione nei giovani giubilanti: “Mentre migliaia di coetanei, diciamo così secolarizzati, prendono un aereo per andare a peccare sulle spiagge delle Baleari, loro fanno il percorso inverso per venire a Roma a confessare i propri peccati”).

Ora, neanche noi abbiamo controllato sotto maglie e camicie per verificare che non fossero tatuati in luoghi nascosti (un po’ come il giovane Vannacci quando verificava furtivamente se i neri epidermicamente sono proprio come noi). Però sulla presenza social e sui peccati vorremmo precisare: bastava scrollare Instagram e TikTok per vedere orde di pellegrini postanti, proprio come i loro coetanei secolarizzati magari (orrore!) a Ibiza. Ecco sul social cinese i più svariati baby Papa-influencers: Una “Mary Gluten free” che “oggi vi spiegherò cosa c’è nella mia box senza glutine per il Giubileo dei giovani” (10.116 like); simpatici ragazzi che illustrano il loro abbigliamento (“Fit check giorno sei giubileo” (3.942 like). E un tormentone in varie lingue: “How do you say jesus loves you in your language?” (13 mila like). Per il peccato, essi non ne erano del tutto esenti, vivaddio. Oltre a Instagram e TikTok, nell’impossibilità di verificare le equivalenti etero, ecco Grindr, la celebre app di incontri gay: intasata in questi giorni più delle metropolitane.

Ecco sbucare un trentenne, “Tor Vergata, cerco subito, right now” (posizione preferita: “versatile”). Ecco un “Giubileo”, dall’età imprecisata, alto 1.64, versatile pure lui. Un “Giubileo suck”, trent’anni, dalle intenzioni abbastanza precise, e un diciottenne “Tor Vergara” (probabilmente fan di Sofia Vergara, celebre star e gay icon della serie “Modern Family”, da cui la confusione del T9 del telefono con la località del Giubileo). E così molti altri. Insomma, gli sguardi son quel che sono, i tatuaggi magari mancano o son nascosti, però ’sti giovani sembrano proprio tali e quali agli altri! E meno male! E del resto chi siamo noi per giudicare (o tatuare), vabbè.

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  • Michele Masneri
  • Michele Masneri (1974) è nato a Brescia e vive prevalentemente a Roma. Scrive di cultura, design e altro sul Foglio. I suoi ultimi libri sono “Steve Jobs non abita più qui”, una raccolta di reportage dalla Silicon Valley e dalla California nell’èra Trump (Adelphi, 2020) e il saggio-biografia “Stile Alberto”, attorno alla figura di Alberto Arbasino, per Quodlibet (2021).

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