Laura Valente: “Napoli millenaria” in festa con san Gennaro, Fringe Festival, Eduardo e Croce

Con il progetto “Napoli 2500”, cultura e memoria collettiva si celebrano sul mare. Sei serate di musica per riscoprire la città che si racconta al mondo, tra passato e nuove identità

C’è un faro, e c’è una statua che si staglia come prima o ultima immagine nella memoria di chi per mare arriva a Napoli o ne parte: san Gennaro benedicente saluta dal Molo San Vincenzo turisti e villeggianti pendolari come salutava i bastimenti di emigranti


che salpavano verso l’America. Per strano che possa sembrare, nessuno salvo sparuti addetti ai lavori aveva messo piede in quell’estremo e emblematico luogo, benché così frequentato dagli occhi, fino al 28 luglio scorso, quando il Molo è diventato un palcoscenico sull’acqua. Per sei sere un cartellone musicale d’autore ha impreziosito i tramonti dinanzi a un pubblico di seicento persone, che fino al 2 agosto hanno potuto accedere liberamente. Questo, come molti angoli di una città che tanto ostenta quanto cela, è stato aperto per “Napoli 2500”, il progetto che festeggia gli anni di Partenope con l’intenzione di dimostrarli tutti. La direttrice


artistica Laura Valente è la manager culturale delegata dal sindaco Gaetano Manfredi alle celebrazioni promosse dal Comune con la collaborazione di oltre settanta tra enti, istituzioni, associazioni, musei.

L’apertura del Molo San Vincenzo si ripeterà?

“Al Faro Festival” ha tutte le premesse per diventare un appuntamento stabile. Questa è la filosofia dell’intero programma “Napoli 2500”: non una serie di spot, ma un’eredità per chiunque venga dopo. Il Molo San Vincenzo simboleggia il rapporto di Napoli col mondo, la sua cultura che non è mai implosa perché ha dato e ricevuto da tutti. Ho sempre associato il faro a Enrico Caruso, che assurse a mito a New York e tornò a Napoli per morire. Prima dello spettacolo inaugurale abbiamo spento per dieci secondi tutte le luci e ascoltato in silenzio il mormorìo del mare, che chi emigrava si portò nell’animo come ricordo. Mi ha commosso un piccolo episodio: un anziano signore venuto con la tromba si è rivolto verso il mare e ha intonato “Amapola”. Mi ha detto che realizzava un desiderio di tutta la vita.

Come avete inaugurato le celebrazioni di “Napoli 2500”?



Il 25 marzo al San Carlo con la proiezione di “Napoli milionaria!” di Eduardo De Filippo, che fu trasmessa in televisione nel 1962 e andò in scena per la prima volta a marzo del ’45 proprio in quel teatro, che pure resta un luogo sconosciuto per molti napoletani. È stata un’emozione vedere gente che vi entrava per la prima volta: un’occasione per recuperare il senso identitario di una comunità e far capire a tutti che sono parte di un medesimo, lungo racconto. Manfredi ha voluto una programmazione aperta e partecipativa.

Non corrisponde alla diffusa percezione dell’algido sindaco ingegnere.

Tutt’altro, ha privilegiato il coinvolgimento. Per esempio sposando con entusiasmo l’idea di un Fringe Festival, perché si ricordava delle impressioni che ricavò da ragazzo a quello di Edimburgo. Così da quest’anno Napoli ha finalmente un Fringe, che inaugurato a maggio durerà fino al 21 dicembre. Il bando del Comune ha ricevuto oltre 350 proposte anche dall’estero con 600 tra artisti e operatori e 72 alzate di sipario su tutto il territorio: musica, danza, teatro, arti visive e il gemellaggio con i Festival di Milano e di Torino. Abbiamo realizzato tutto con un budget di 250 mila euro, prevedendo anche progetti di residenze più lunghe in luoghi simbolo della città come il Parco Vergiliano a Piedigrotta, il Monte Echia e il Real Albergo dei Poveri, dove sono stati aperti corsi e laboratori per la scrittura creativa, per la realizzazione di un cartoon, di una retrospettiva cinematografica e della traduzione della Costituzione in lingua napoletana.

Nella folla di figure che hanno contribuito alla storia di Partenope ci sono tanti napoletani d’adozione. Chi celebrerete?

Produrremo a ottobre l’oratorio “Il Giardino di Rose” di Alessandro Scarlatti, che sarà eseguito nel complesso dei Girolamini per i trecento anni dalla sua morte. Poi abbiamo sponsorizzato la traduzione in cinese di “Storie e leggende napoletane” di Croce assieme


all’Ambasciata d’Italia, alla Fondazione Biblioteca Benedetto Croce, all’Università Suor Orsola Benincasa. L’opera sarà pubblicata dalla più importante casa editrice cinese ed è in programma anche una traduzione in lingua araba. Un’altra iniziativa riguarda le donne dimenticate, napoletane o che operarono a Napoli: dall’artista femminista Lina Mangiacapre a Vittoria Titomanlio eletta all’Assemblea costituente; da Maria Teresa De Filippis, prima donna pilota di Formula 1, a santa Giovanna Antida Thouret, che raccoglieva le ragazze traviate del centro storico per istruirle e insegnava loro anche il francese.

Neanche lei è napoletana.



Sono milanese, ma vivo a Napoli da quasi trentasei anni e ringrazio questa terra che mi ha dato la possibilità di sentirmi figlia sua. Chiunque si lasci coinvolgere da Napoli ne diventa figlio e ogni visitatore sarà un nostro narratore: ci giochiamo il futuro sullo sguardo e sulla percezione altrui. E se non è mai vero che uno vale uno, perché ciascuno è unico come le proprie impronte digitali, è il senso di comunità che mette tutti assieme. Quando il 29 aprile scorso, per la Giornata internazionale della danza, abbiamo organizzato una lezione aperta, piazza Plebiscito si è trasformata nella più grande sala del mondo con circa tremila partecipanti. Pochissimi tra loro sapevano che la prima scuola di ballo italiana fu istituita proprio qui, al San Carlo, nel 1812. È con la conoscenza che un’identità si costruisce e si consolida.

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