Il poeta si è incartato nella menzogna del genocidio a Gaza

David Grossman ha scritto un magnifico racconto sulla colpa di essere ebrei, senza riuscire a districarsi oggi da quel senso di colpa. Usa la parola genocidio con circospezione, ma la usa per rifare un’ennesima volta i conti che non tornano con la Shoah

La grandezza poetica di David Grossman è per me in un racconto superbo, tragico e comico precisamente come la vita, un libro di una dozzina di anni fa. Si chiama “Applausi a scena vuota”. Un attore scombiccherato intrattiene una platea di popolani, tra cui un amico di infanzia, di Netanyah. Netanyah e la platea del cabarettista, figura tragica di altezza scespiriana, sono un pezzo di Israele che si nega all’ascolto della sua storia personale, raccontata con toni tra il delirante e l’ubriaco in mezzo a battute di pregnante e oscena scorrettezza, ridono all’occasione e applaudono ma, appunto, in un certo senso la scena è vuota perché la platea è destinata a svuotarsi, la colpa e la condanna biblica allignano in una crudele dialettica della coscienza, del peccato, del dolore assoluto. La storia che arriva dal palco è quella del bambino che l’attore è stato, raccontata da un uomo ormai malato e gracilento ma ancora esplosivo.

Un giorno il bambino riceve la notizia della morte di un suo genitore, ma sta a lui nel viaggio di scoperta decidere, perché nessuno come in Kafka gli dice chi è morto, di quale morte dovrà sentirsi moralmente colpevole, decidere se sia meglio che il morto sia il padre o la madre, decidere del suo desiderio inconscio intriso di colpevoli ricordi. Questo il succo della commedia tragica o della tragedia comica che si svolge su un palco della provincia israeliana. Grossman parla di genocidio a Gaza perché è un poeta tormentato e il padre di un figlio morto in guerra per Israele, perché ogni ebreo come gli altri umani, ma di più, non ha capito ancora il mistero della Shoah e dell’assenza di Dio o del suo silenzio impenetrabile. La parola genocidio la usa con tragica circospezione, sa che spesso è una bandiera dei nemici di Israele e degli ebrei o un assunto giuridico del più indemoniato diritto umanitario, e lo dice, ma la usa per rifare un’ennesima volta i conti che non tornano con lo sterminio degli ebrei d’Europa e con duemila anni di persecuzione diasporica per ogni dove, fino al pogrom antisionista del 7 ottobre, quello che molti, moltissimi teorici del genocidio considerano una atto di resistenza nazionale e popolare.

Vorrei avere Grossman qui vicino per dirgli, signor Grossman, di rileggere le sue duecento magnifiche pagine sulla colpa di essere ebrei, per dirgli che il genocidio di Israele contro i palestinesi è una vile menzogna per cinici e per allocchi, che non esiste un solo palestinese vittima in quanto palestinese e che non si è mai visto un esercito che avverte dove bombarda, crea zone di salvaguardia umanitaria quando è possibile, nutre la popolazione che un nemico feroce, dopo la strage e la cattura degli ostaggi, espone, lui infrattato nei tunnel, alle conseguenze della guerra di difesa e reazione di un paese che non vuole più convivere con il terrore dopo decenni in cui ha proposto una pace realista che l’interlocutore rifiuta in nome dell’ideologia dello sterminio dal fiume al mare. La Lega araba chiede a Hamas la resa, la consegna delle armi e degli ostaggi, Abu Mazen considera “cani” quelli di Hamas, e invece l’opinione statale, universitaria, mediatizzata in occidente si rivolta contro Israele, cerca gli applausi a scena folta di Hamas e li ottiene, denigra la sua democrazia e il suo orgoglio nazionale, gli imputa di aver rovesciato il paradigma storico dello sterminio invertendo i ruoli con il genocidio. Se ne erano viste tante in Occidente, un continente morale che da Dresda a Hiroshima ai tremendi silenzi sulla Shoah non ha mai finito di infliggere punizioni mostruose ai più deboli e ai nemici, e ora desidera ardentemente punire gli ebrei, vecchia mania spesso inconfessata. Fania Oz e Liliana Segre questa verità l’hanno capita, anche se gemono per la distruzione di Gaza, e come non potrebbero, e per il destino incrudelito della società e delle istituzioni israeliane dopo il 7 ottobre, e per una guerra che non trova sbocco e non riesce a finire con la liberazione degli ostaggi e lo sradicamento del nemico dell’umanità, Hamas: onore alla loro intelligenza che si districa dalla colpa. Mentre il poeta nazionale si è incartato nella lingua dei suoi nemici, come succede ai poeti.

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  • Giuliano Ferrara
    Fondatore
  • “Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.

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