Non basta concentrarsi sull’aspetto legislativo del suicidio medicalmente assistito. Bisogna coltivare una cultura che educhi al valore intrinseco della vita umana, anche nella fragilità e nella sofferenza
È ridondante il dibattito in area cattolica e “laica” – quella sensibile al bene sociale della vita – sul sostegno o meno al disegno (ddl) di legge dell’attuale maggioranza sul suicidio medicalmente assistito (Sma). Tra le molte sfumature, le posizioni a favore dell’attuale testo base vedono in esso un miglioramento rispetto al ddl Bazoli, capace di evitare che la sentenza della Consulta – il movente dell’operazione parlamentare in corso – apra le porte ad un’estensione maggiore del ricorso al Sma. Quelle contrarie ad appoggiare il testo considerano ancora possibile respingerlo, sulla base dei numeri di maggioranza, dei “voti di coscienza” di singoli senatori oppure di alleanze trasversali, e sottolineano l’inammissibilità intrinseca del Sma e il rischio di un’inarrestabile deriva eutanasica già presente in altri paesi con simili leggi.
Non è realistico pensare che la “pressione” della Consulta, le “spinte” di associazioni e partiti, e le differenti posizioni nella maggioranza consentano di evitarne l’approvazione. Mantenere lo status quo sarebbe positivo per il bene comune, i malati più fragili fisicamente e psicologicamente ed i medici che hanno come missione la loro cura, ma è una posizione che non può essere tenuta a lungo. Vi è una considerazione ulteriore – e, ultimamente, a mio avviso, decisiva – che il cattolico ed il non credente che hanno a cuore la tutela e promozione della vita umana non dovrebbero trascurare. Essa dovrebbe farli astenere dal dare un manifesto appoggio alla legge sul Sma, che i mass media amplificano e fanno entrare nelle case, nelle comunità e nei circoli religiosi dove nascono i giudizi comuni e si “(tra)formano” le coscienze.
Nel quadro dell’eutanasia volontaria (quello in cui, almeno sinora, si collocano i paesi legiferanti), il paziente in determinate condizioni può optare o meno per il Sma, la sua famiglia e gli amici possono sostenerlo oppure cercare di dissuaderlo, e chi lo cura può incoraggiarlo in questa scelta o impegnarsi per fornirgli opportunità di assistenza che migliorino gli aspetti più inaccettabili della sua malattia. L’entrata in vigore di una legge sul Sma non comporta che chi ha titolo per accedere ad esso lo debba fare necessariamente, né che chi gli è vicino gli suggerisca di ricorrere ad essa.
La questione più incisiva individualmente e socialmente per la difesa e promozione della vita, oggi, non è quella legislativa (importante, però difficilmente vincente), ma quella educativa: la formazione di una cultura della vita umana, di un giudizio sul bene fondamentale che essa è sempre. Al di là delle buone intenzioni di opportunità biopolitica, sostenere pubblicamente qualunque legge sul Sma è un messaggio lanciato a favore di questa azione moralmente inaccettabile, che – lo si voglia oppure no – lascia un segno profondo nei credenti e nei non credenti che guardano alla Chiesa come “esperta in umanità”, e allontana la coscienza dalla consapevolezza che il suicidio e l’aiuto al suicidio non sono mai un bene, in nessuna circostanza.