L’Europa è in una condizione mai sperimentata dal ’45

Putin interpreta a modo suo l’ultimatum annunciato da Trump (di 50 giorni e poi aggiornato sui dieci-dodici). Zelensky è in un angolo da cui ora cerca di uscire. Resta la constatazione di un grande paese invaso, vincolato agli assetti politici degli stati europei e ai capricci americani

Il bilancio di morti ammazzati e feriti in Ucraina si avvicina a quello di Gaza: 31 solo a Kyiv la notte tra giovedì e venerdì, cinque bambini. E sedici bambini sui 169 feriti. Putin sta ragionevolmente interpretando così il penultimatum di 50 giorni annunciato da Trump, e aggiornato sui “dieci-dodici giorni”, poi all’8 agosto, poi chissà. Il tempo è tesoro per i bombardamenti russi. La sciocchezza di Zelensky, e di chi gli ha suggerito o imposto la misura contro le agenzie anticorruzione – ritirata pressoché all’unanimità dal parlamento che pressoché all’unanimità l’aveva votata in fretta e furia – e le voci sempre più chiassose sulle manovre di fuori e di dentro per sostituire Zelensky, servono anche loro a prolungare le cose e a promettere a Putin una soddisfazione personale cui massimamente tiene. Zelensky ha vantato la propria capacità di ascoltare la voce del popolo, che in effetti gli aveva fatto fischiare forte le orecchie. Resta la domanda su come abbia potuto equivocare così platealmente i sentimenti di quel popolo e la sua prontezza alla mobilitazione. Il vero entusiasmo alla mobilitazione. Il segno che molta gente, e ragazze e ragazzi soprattutto, non aspettavano che un’occasione per prendere la piazza, una goccia che facesse traboccare il vaso. Un errore simile può spiegarsi solo con l’accecamento derivante dal potere, e dalla presunzione che lo stato di guerra continuasse a legare mani e voci della gente. Non le ha legate, e nemmeno quelle dell’Europa, che si è fatta sentire anche lei oltre le omissioni e le reticenze abituali.



Giovedì, votato alla rovescia il ripristino dell’autorità delle agenzie anticorruzione, Zelensky è tornato a menzionare il cambio di regime in Russia come condizione per la pace, al di là della guerra all’Ucraina. Anche questa una mossa almeno ingenua per uscire dall’angolo in cui si è messo. Ed è stato messo. Dai suoi stessi uomini di fiducia, i più interessati all’impunità di loro sodali, e i più persuasi forse di contare più di lui. Anche loro forse indotti all’errore di poter ormai venir fuori dalle quinte. Ora sono tutti un po’ in bilico. L’opposizione che è venuta in strada con tanta sicurezza e spontaneità, e felicità, quasi, imparerà che una cosa è fermare il governo, altra cosa correggerne e guidarne l’evoluzione. E Zelensky non si persuade a farsene garante chiamandosi fuori dalla mischia quanto alle future, e non più così remote, elezioni.



Resta la constatazione di una condizione mai registrata nell’Europa del dopo ‘45. Un grande paese invaso, svuotato di milioni di suoi abitanti, devastato falcidiato e saccheggiato, sottoposto alle vicende alterne degli assetti politici negli stati europei alleati e ai capricci prepotenti degli Stati Uniti dal vero cambio di regime: la sua resistenza è un fatto sbalorditivo. Verrà il momento di accorgersene.

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