Le missioni di Witkoff da Gaza alla Russia

L’inviato speciale di Trump si sposta per cercare accordi, ma ovunque trova ostacoli. Nella Striscia studia un piano per gli aiuti, il viaggio a Mosca fa stare gli ucraini in allerta

Domenica, parlando ai giornalisti, Trump ha annunciato un nuovo viaggio di Witkoff a Mosca previsto per questa settimana: “Penso che la prossima settimana, mercoledì o giovedì, potrebbe andare in Russia. Vorrebbero incontrarlo. Hanno chiesto un incontro, vedremo cosa accadrà”. Il presidente americano ha rinnovato la minaccia delle sanzioni nel caso in cui il Cremlino non dovesse accettare un accordo per il cessate il fuoco entro l’8 agosto. “Ci saranno delle sanzioni, ma saranno piuttosto bravi a evitarle”, ha detto il Presidente.




(Articolo aggiornato lunedì 4 agosto)


Aaron David Miller, ex consigliere del dipartimento di stato per il medio oriente sia sotto amministrazioni democratiche sia repubblicane, ha osservato che i negoziati tra Israele e Hamas per arrivare alla liberazione degli ostaggi e il cessate il fuoco nella Striscia di Gaza si muovono a due velocità: lenta ed estremamente lenta. Miller non si è espresso su quale sia la velocità dei negoziati in queste ultime settimane in cui le notizie e gli studi sulla mancanza di aiuti umanitari a Gaza hanno aggiunto forza all’urgenza di ottenere un accordo, ma tutto indica che questa è la fase della lentezza estrema. Lo dimostra anche la decisione del gruppo terroristico di pubblicare i video che mostrano due ostaggi in vita ma emaciati, sofferenti, che implorano in lacrime e stremati un accordo a ogni condizione. Quando Hamas pubblica le immagini degli ostaggi lo fa per aumentare la pressione dell’opinione pubblica israeliana, per creare uno stato di ansia e panico in tutto Israele.



Il presidente americano Donald Trump si è reso conto che non sarà semplice trovare un’intesa: Hamas ha rifiutato ogni proposta, ha continuato ad avanzare pretese. Gli Stati Uniti hanno ritirato la loro squadra negoziale, lo stesso hanno fatto gli israeliani. Gli egiziani hanno detto di essere frustrati dai rifiuti di Hamas. Il Qatar, principale sponsor dei terroristi della Striscia, ha firmato come tutti i paesi della lega araba una dichiarazione che chiede il disarmo di Hamas e il suo allontanamento dalla Striscia, anche se continua ad ospitare la leadership del gruppo che rilascia interviste per dire che il sacrificio dei palestinesi a Gaza è necessario. Non c’è nemmeno uno spiraglio per un accordo, anche se i negoziatori continuano a lavorare a distanza per tenere vivi almeno i canali di comunicazione. L’Amministrazione americana ha quindi deciso di dirottare i suoi sforzi su come migliorare la situazione umanitaria e la distribuzione degli aiuti nella Striscia di Gaza. Trump ha promesso un nuovo piano, per redigerlo ha però bisogno delle informazioni raccolte dal suo inviato speciale Steve Witkoff che ieri ha trascorso cinque ore dentro la Striscia assieme all’ambasciatore americano in Israele Mike Huckabee. I due americani sono andati a visitare uno dei centri di distribuzione della Gaza Humanitarian Foundation (Ghf), l’organizzazione americana sostenuta da Israele che da fine maggio è stata incaricata di gestire il trasporto e la consegna degli aiuti umanitari in quattro punti della Striscia che si sono trasformati in trappole mortali per i palestinesi. La distribuzione è stata accusata di essere caotica e pericolosa, ci sono state vittime e nessuna forma di collaborazione da parte delle Nazioni Unite. Uno dei contractor americani che aveva deciso di collaborare con la Ghf ha accusato alcuni suoi colleghi di trattamenti disumani. Witkoff è andato a verificare la situazione sul posto, l’intenzione degli americani è di trovare il modo per aumentare la quantità di cibo che entra nella Striscia senza che sia Hamas a impossessarsi della distribuzione.



Trump vuole risolvere le guerre iniziate durante l’Amministrazione di Joe Biden, ma se in medio oriente i negoziati si muovono con lentezza, in Ucraina sono immobili. Dopo essere stato in Israele e a Gaza, Witkoff è atteso in Russia. Gli ucraini non amano la gestione dell’inviato speciale americano che era stato assegnato al medio oriente e invece ha iniziato a occuparsi anche di parlare con i russi. Nei suoi viaggi frequenti tra Mosca e San Pietroburgo, Witkoff ha dimostrato di credere a ogni parola del presidente russo, si è lasciato affascinare dalle promesse di accordi e affari e questa sua inclinazione nei confronti del Cremlino ha avuto un impatto sulle decisioni di Trump. Ora il presidente americano ha capito che è Putin l’ostacolo all’accordo, ma non si azzarda a mettere in pratica le sue minacce contro la Russia. “E’ possibile che dopo il viaggio di Witkoff l’ultimatum americano ai russi per arrivare a un cessate il fuoco sarà esteso di nuovo, verranno dati altri giorni all’esercito russo”, dice al Foglio una fonte diplomatica ucraina che non vede nel viaggio di Witkoff un segnale positivo. Giovedì sera la Komsomolskaya Pravda, il giornale che ha la fama di essere il preferito del capo del Cremlino, aveva annunciato un discorso di Putin a reti unificate che avrebbe toccato vari argomenti, incluso l’ultimatum di Trump. Putin non ha mai risposto alle minacce del presidente americano e potrebbe aver cancellato il discorso proprio in vista del viaggio di Witkoff. Ieri Putin era sull’isola di Valaam con il dittatore bielorusso Aljaksandr Lukashenka e ha fatto qualche dichiarazione alla stampa: “Il dialogo è necessario per risolvere pacificamente i problemi”, ha detto. Poi ha aggiunto di essere favorevole a una pace duratura per la sicurezza sia di Mosca sia di Kyiv e ha specificato come si arriva a questa pace: “Le condizioni russe restano immutate: la cosa principale è sradicare le cause del conflitto”. Non è un’apertura, ma la riaffermazione della posizione del Cremlino, che Trump con i suoi ultimatum non riesce a smuove

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  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Nel Foglio cura la rubrica EuPorn, un romanzo a puntate sull’Unione europea, scritto su carta e “a voce”. E’ autrice del podcast “Diventare Zelensky”. In libreria con “La cortina di vetro” (Mondadori)

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