La pallavolo femminile italiana ha due facce

Non c’è solo l’oro della Nazionale. La maternità resta un tabù fuori dal campo. Il caso Cogliandro mostra le contraddizioni di uno sport che chiede impegno da professionisti ma resta non professionistico: tra dirigenti maschi, leggi assenti e mentalità anni ’90. Servono diritti e regole per le atlete

“Se la pallavolo femminile fosse gestita in maniera più professionale, sarebbe un movimento sportivo senza precedenti”. Questa frase è uscita (informalmente, chiaro) dalla bocca di un dirigente di volley qualche giorno dopo la vittoria dell’oro olimpico da parte della Nazionale italiana a Parigi. All’epoca non c’era nessun “caso” Asia Cogliandro a infiammare l’estate, ma quando quello che è successo alla (ex) giocatrice di Perugia – divenuta un problema da risolvere per la società dopo la scoperta di aspettare un bambino e poi un caso mediatico quando la stessa ha denunciato il trattamento ricevuto – non si può che pensare come quel giudizio lapidario avesse un fondo di verità.


La pallavolo italiana ha due facce. Quella che luccica ha il volto di Sylla, Egonu, De Gennaro e Orro che vincono la seconda VNL di fila confermando di essere la squadra più forte del mondo, strappano contratti milionari e spot pubblicitari come negli anni ’90 succedeva a Giani e alla Generazione dei fenomeni. L’altra è quella di giocatrici la cui vita sportiva è condizionata da dirigenti, procuratori, vertici sportivi e società, che nel 2025, ancora, non si mettono a tavolino e normano un aspetto che esiste da prima che inventassero il volley: la maternità. Il che, se fai il dirigente di uno sport femminile, ti dovrebbe venire il dubbio sia materia su cui legiferare. Anche se sei un uomo, diciamolo. “Nessuno fa un figlio per fregare il sistema – commenta Valentina Diouf, tornata a giocare a Busto per il suo ultimo ballo – ma se un giocatore diventa padre si sprecano i post di felicitazioni su Instagram, se una giocatrice aspetta un figlio invece sembra che tutelare la società sia compito suo. Come se, appunto, l’avesse fatto per danneggiare qualcuno. Eppure la gravidanza di una donna non mi pare una novità del ventunesimo secolo. Non si può mettere giù un contratto di lavoro che preveda anche questa eventualità? La verità è che la pallavolo ha ancora una mentalità amatoriale. Non vale per tutti certo, ci sono società e dirigenti illuminati, ma questa vicenda è la dimostrazione che ci sono ancora tante zone d’ombra e implica una discrezionalità che non va tollerata, perché si lascia la possibilità di comportarsi bene o male”. Quando ci si dovrebbe solo comportare secondo la legge. Ma la pallavolo non è uno sport professionistico e qui risiedono molte delle sue contraddizioni. “Però alle giocatrici è richiesto un impegno da professioniste – aggiunge Paola Paggi, Campionessa del Mondo nel 2002 con la Nazionale azzurra – e allora dico che Asia Cogliandro ha fatto benissimo a denunciare perché stando zitte non si cambia niente e invece questo potrebbe essere un buon momento di svolta per il volley femminile. Vent’anni fa a noi succedevano le stesse cose, la possibilità di essere tagliata fuori e vedere la tua carriera rovinata ci creava pressioni di cui magari non parlavi, ma sapevi benissimo che anche la tua compagna le stava vivendo. Il “si è sempre fatto così” oggi non è più accettabile”.

Dagli anni duemila, quando il volley femminile azzurro ha iniziato a vincere, la pallavolo femminile è sempre rimasta uno sport dove comandano gli uomini. Nessuna allenatrice in serie A, poche le dirigenti. Alessandra Marzari è l’eccezione. Lei è la presidente del consorzio Vero Volley, che ha una squadra maschile e una femminile in serie A. Quest’anno sotto di lei c’era mezza Nazionale italiana oro a Parigi, per dire. “Fosse successo a una mia giocatrice avrei cercato in tutti i modi di trovare un accordo, ma non voglio puntare il dito. La maternità è decisamente un tema che va affrontato anche e soprattutto in un momento come questo, perché i risultati sportivi distolgono l’attenzione dai problemi dirigenziali che invece nella pallavolo ci sono e come. Perché non è detto che se vinci medaglie d’oro a ripetizione il tuo sistema funzioni al 100%. E io non penso che il volley funzioni così alla perfezione”. Qualche esempio? “C’è stato un aumento ingiustificato delle tasse gara, il livello degli allenatori si sta abbassando e siamo carenti nell’area marketing e comunicazione. E il marketing in uno sport serve al ricambio generazionale. Anche per lavorare nello sport serve studiare, continuamente”. Non è un caso se due anni fa la stessa identica nazionale italiana non vinceva e oggi comanda il mondo. Julio Velasco voleva essere (ancora) il migliore e si è messo accanto i migliori. La pallavolo femminile riparta dai più bravi anche fuori dal campo. O dalle più brave, touchè.

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