I malintesi sulla Russia

Per gli europei è difficile trovare un consenso sulla minaccia che Putin rappresenta ed è ancora più complicato immaginare che rapporti si potranno avere in futuro con Mosca. Chiariamoci almeno su “vittoria” e “sconfitta”

Mi trovo a Helsinki per la conferenza che quest’anno celebra il cinquantesimo anniversario dell’Atto finale di Helsinki. Nel 1975 qui in Finlandia, i leader di trentacinque stati raggiunsero un consenso storico su princìpi che ancora oggi costituiscono la base del nostro ordine di sicurezza. All’epoca, l’Europa era profondamente divisa, eppure i paesi partecipanti si accordarono su alcuni princìpi fondamentali: l’integrità territoriale, l’uguaglianza sovrana, il divieto della minaccia o dell’uso della forza, e il rispetto dei diritti umani. Tutti questi princìpi, però, sono andati in frantumi con l’esplosione della guerra nel nostro continente e nei suoi dintorni – prima fra tutte, con l’invasione su larga scala dell’Ucraina da parte della Russia. Non a caso, la Russia è il tema dominante della conferenza, sia nelle sessioni ufficiali sia negli eventi a porte chiuse.



A uno di questi eventi, al quale sono stata invitata, è stato dato un titolo significativo: “Futuri rapporti con la Russia: quali prospettive e a quali condizioni?”. Prima dell’incontro, abbiamo ricevuto un messaggio che ricordava: “Tutte le discussioni si svolgono secondo la regola della non attribuzione. Nessun dispositivo elettronico (compresi cellulari, tablet, computer portatili o strumenti di registrazione) è ammesso nella sala”. E’ così che funziona oggi quando si parla di Russia, che si tratti di incontri di livello track 1.5 o track 2. Non ha senso far finta di niente: l’Europa ha sempre faticato a decidere come rapportarsi con la Russia. Io stessa ho perso il conto delle volte in cui ho partecipato a discussioni di questo tipo. Eppure, paradossalmente, oggi sembra più difficile parlare del futuro delle relazioni con Mosca di quanto non lo fosse nel 2022, quando il Cremlino ha lanciato la guerra contro l’Ucraina. E’ come se una parte dell’Europa avesse segretamente sperato che Trump riuscisse a raggiungere un qualche accordo con Putin – una pace sporca, a spese dell’Ucraina, ma comunque una tregua che permettesse all’occidente di voltare pagina e, magari, di riprendere un dialogo con la Russia, anche in forma limitata. Per alcuni di noi, tuttavia, era chiaro fin dall’inizio che non c’era alcuna possibilità di un vero accordo tra Stati Uniti e Russia per fermare la guerra. Perché l’obiettivo di Putin non è (solo) territoriale né riguarda semplicemente il controllo politico sull’Ucraina. L’obiettivo è molto più ampio: un cambiamento globale degli equilibri, una riscrittura delle regole del gioco e soprattutto la trasformazione dell’Europa nei suoi valori, nella sua identità, nelle sue convinzioni. Qualsiasi altro esito sarebbe percepito da Mosca come una sconfitta strategica. Eppure, alcuni analisti occidentali continuano ad analizzare le sue scelte strategiche con schemi concettuali logori, convinti che si tratti ancora di una guerra territoriale. In molti casi, le loro analisi iniziano ad apparire patetiche, intrise di illusioni.

E’ per questo che appelli come quello dell’esperto americano Thomas Graham – che nel suo ultimo articolo “Why Putin Should Declare Victory in Ukraine Now”, pubblicato sul National Interest, invita il Cremlino a fermare la guerra e dichiarare vittoria perché avrebbe già raggiunto i suoi obiettivi (l’esclusione dell’Ucraina dalla Nato e il corridoio di terra verso la Crimea) – appaiono sempre più scollegati dalla realtà. Putin non si fermerà. “Penso che l’occidente non comprenda l’estremismo del putinismo. Si continua a immaginare che si possa trovare un accordo, che se cediamo la Crimea, allora la Russia smetterà di combattere. Ma i suoi obiettivi sono molto più ampi e ambiziosi. Mosca vuole la distruzione dell’alleanza transatlantica e, forse, perfino dell’Unione europea”, dice Anne Applebaum in un’intervista recente. Una delle domande che ci siamo posti durante l’evento a porte chiuse è stata: perché è così difficile trovare un consenso sull’interpretazione della Russia? Le difficoltà derivano da un intreccio complesso di fattori storici, politici, economici e strategici. Anche quando i paesi occidentali concordano sul fatto che la Russia rappresenti una minaccia per la sicurezza europea e transatlantica, le loro percezioni e priorità restano diverse. La percezione della minaccia, per esempio, varia sensibilmente: gli stati che confinano con la Russia, come Polonia e Paesi baltici, la considerano una minaccia immediata ed esistenziale; altri – come Italia, Spagna e Grecia – tendono a vederla piuttosto come una sfida da gestire, più che come un pericolo diretto. Fino a poco tempo fa, in questo gruppo si sarebbero potute includere anche Germania e Francia, ma recentemente si osserva in entrambi i paesi un risveglio, una nuova consapevolezza: la Russia rappresenta una minaccia concreta alla sicurezza europea. Gli Stati Uniti, dal canto loro, continuano a considerare Mosca un attore destabilizzante a livello globale, ma orientano ormai sempre più la propria attenzione strategica verso la Cina.


Ci sono poi le dipendenze economiche e gli interessi commerciali. L’Italia è un caso emblematico: molte imprese si sono rifiutate di lasciare il mercato russo. Il ministro degli Esteri ha dichiarato pubblicamente che il governo farà tutto il possibile per difendere i loro interessi, nonostante le ampie sanzioni occidentali in vigore.


La frammentazione ideologica e politica incide anch’essa. L’ascesa di movimenti populisti, sia di estrema destra sia di estrema sinistra, talvolta con simpatie o sostegni russi, mina l’unità europea. Anche all’interno degli stessi paesi, i partiti politici esprimono posizioni molto diverse, che oscillano tra la linea dura e quella accomodante. Ancora una volta, l’Italia è un esempio utile. Anche il partito più europeista, il Partito democratico, che sostiene ufficialmente la resistenza ucraina, per poter sperare di battere la coalizione di governo alle prossime elezioni, vorrebbe allearsi con un partito apertamente filorusso come il Movimento 5 Stelle. Un altro elemento di divisione riguarda l’ambiguità strategica sugli scenari finali della guerra in Ucraina. Non esiste un consenso chiaro su cosa significhi “vittoria” o “sconfitta” per ciascuna delle parti. La piena restaurazione territoriale dell’Ucraina? Un conflitto congelato? Questa mancanza di chiarezza influenza la quantità di aiuti militari, la postura diplomatica, le politiche sanzionatorie. La buona notizia – e paradossalmente dobbiamo ringraziare Putin per questo – è che la sua ostinazione ha costretto l’occidente a convergere almeno su alcuni princìpi di base. Nonostante le divergenze, esistono interessi strategici condivisi nel lungo periodo: impedire alla Russia di ridisegnare i confini con la forza e andare oltre l’Ucraina, essenziale per scoraggiare future aggressioni; preservare la sicurezza europea e transatlantica, poiché la credibilità della Nato dipende dalla sua capacità di contrastare le minacce russe; sostenere la sovranità e la resilienza dell’Ucraina, come baluardo contro l’imperialismo russo e modello di resistenza all’autoritarismo; contrastare l’influenza e la destabilizzazione russa, soprattutto attraverso le guerre ibride (cyberattacchi, disinformazione, interferenze politiche), una minaccia che tocca in modo particolare gli stati più vulnerabili.


Quindi di che cosa possiamo parlare con la Russia? Ben poco, in realtà. Tuttavia, anche nei periodi di confronto, una certa comunicazione resta necessaria per evitare catastrofi o gestire una coesistenza inevitabile. In primo luogo, questo vale per la riduzione del rischio nucleare e la stabilità strategica: anche un dialogo minimo, incentrato sulla gestione delle crisi, può evitare errori di calcolo. In secondo luogo, mantenere canali diplomatici riservati consente di valutare se vi sia qualche reale cambiamento possibile nella politica russa. Ma l’elenco dei temi affrontabili è molto limitato. Anche perché, in un contesto in cui i principali think tank e organizzazioni europee sono stati dichiarati “indesiderabili” da Mosca, è sempre più difficile organizzare incontri sul tema Russia persino a livello di esperti. E non solo per questo. C’è anche un problema di fiducia, non tanto tra esperti occidentali e russi, ma tra gli stessi esperti russi. Non dimenticherò mai un incontro nel 2023, al quale partecipavo insieme a colleghi occidentali e russi. I russi erano terrorizzati all’idea di parlare apertamente: sospettavano che tra loro ci fossero agenti dell’Fsb e temevano che qualcuno potesse riferire a Mosca i punti chiave emersi nella discussione. Non dimenticherò mai quegli sguardi pieni di paura e sospetto. Tornando all’occidente, qui a Helsinki, cinquant’anni dopo l’Atto finale, tutti riconoscono una realtà: la guerra è destinata a durare ancora a lungo, e sarà sempre più difficile parlare della Russia al di fuori di questo conflitto. La guerra è ormai la lente attraverso cui ogni altra questione viene osservata. E sarà con ogni probabilità il suo esito a determinare le modalità – o l’impossibilità – di trattare con la Russia, non solo nei prossimi anni, ma forse per i decenni a venire.

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