Perché Borse e analisti vedono per l’Europa un futuro non così male nonostante i dazi

L’accordo commerciale tra Unione europea e Stati Uniti rassicura i mercati: Eurostoxx e Ftse Mib in crescita, spread ai livelli del 2010. L’industria reale teme, ma gli investitori premiano la stabilità e la compattezza europea

Almeno ora c’è più certezza. I mercati azionari europei hanno accolto con molto pragmatismo l’accordo commerciale tra Europa e Stati Uniti: l’Eurostoxx 50, l’indice azionario europeo più significativo, dall’annuncio dell’intesa commerciale, è cresciuto di oltre l’1 per cento, il Ftse Mib è salito di quasi il 2 per cento. Mentre nel mondo dell’economia reale cresce la preoccupazione per il possibile impatto sulle esportazioni, gli investitori vedono il bicchiere mezzo pieno: accordarsi su una tariffa media del 15 per cento è meglio di una guerra commerciale o delle tariffe ben più alte minacciate da Trump nelle ultime settimane. In Italia, poi, l’asimmetria si coglie ancora di più.

L’allarme delle diverse categorie produttive sembra stridere con un nuovo record al ribasso dello spread sovrano che ieri ha toccato 83 punti base, livello che non si vedeva dal 2010. La revisione al rialzo del pil italiano per il 2025 da parte del Fondo monetario internazionale (più 0,5 per cento rispetto alla stima precedente del più 0,4 per cento), per quanto rappresenti un tasso di crescita che è la metà rispetto a quello stimato per l’area euro (più 1 per cento dal precedente 0,8 per cento), sembra supportare una visione se non ottimistica almeno non catastrofista degli effetti dei dazi americani. E le ragioni sono un mix di macroeconomia e geopolitica. Secondo Fabrizio Pagani, partner di Vitale, già capo della segreteria tecnica del Mef, bisogna partire dal fatto che la temuta frammentazione europea non è avvenuta e che la Commissione Ue ha dimostrato di avere una competenza esclusiva sul commercio estero. Un segnale di compattezza europea che agli occhi degli investitori ha la sua rilevanza. Detto questo, riflette Pagani, il 15 per cento deve essere letto in termini relativi e non assoluti, data la scarsa capacità di sostituzione dell’industria manifatturiera americana. Si dovrebbe considerare, infatti, il livello di barriere a cui sono sottoposti prodotti concorrenti a quelli europei. I beni giapponesi e britannici hanno un trattamento simile, mentre quelli cinesi e di altre economie emergenti hanno tariffe più alte. “Si apre quindi – dice Pagani – una finestra per i prodotti europei, almeno in alcuni settori”.

Insomma, secondo questa visione, starebbe alle imprese non lasciarsi scoraggiare cercando forme di diversificazione e nuovi sbocchi, ma soprattutto sfruttare il vantaggio competitivo di cui comunque godranno i prodotti europei rispetto a quelli di molti paesi, in primis la Cina. Sempre a proposito di bicchiere mezzo pieno, il presidente di Nomisma, Paolo De Castro, ha fatto notare come l’applicazione di un dazio massimo del 15 per cento dovrebbe valere anche per quei prodotti agroalimentari italiani, quali il formaggio e la pasta, che pagavano un aggravio rispettivamente del 15 e del 16 per cento già prima dell’arrivo di Trump a cui si è aggiunto il 10 per cento a partire da aprile. “Per questi prodotti il risultato è molto positivo”, dice De Castro. Nel complesso, comunque, tra gli operatori di mercato prevale l’idea che l’accordo abbia scongiurato scenari peggiori. Secondo un’analisi di Carmignac, colosso degli investimenti francese, l’Europa è riuscita a proteggere alcuni settori chiave dai dazi settoriali più gravosi, che vanno dal 25 per cento e oltre, per esempio l’automobile, i semiconduttori e i prodotti farmaceutici (per questi ultimi Trump aveva evocato tariffe fino al 200 per cento). Ad ogni modo, riflette sempre Carmignac, non si può negare che la geopolitica abbia prevalso sull’economia. Mantenere, per esempio, l’impegno di Trump nei confronti dell’Ucraina è fondamentale per l’Unione europea: “Intraprendere una guerra commerciale che non potevamo vincere sarebbe stato un errore strategico nel lungo periodo, dettato da un miope inseguimento di vantaggi economici immediati. In quest’ottica, possiamo considerare questi 15 punti percentuali di dazi come un premio assicurativo geopolitico contro la Russia”. E di sicuro anche questo i mercati hanno apprezzato come una premessa di stabilità per il futuro.

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