Parla il generale, vice della Lega, e dice: “L’accordo sui dazi? Il risultato di una Commissione indegna. Ripresenteremo la sfiducia a Ursula”. Salvini attacca il green deal e fa il controcanto a Tajani: “Da vedere se i dazi sono sostenibili”
Roma. Trump ha il pagellone, Vannacci dà le pagelline e Salvini usa la livella: è tutta colpa dei tedeschi. Avanti, dazio. Generale, qui è il Foglio: “Buongiorno, presente”. I dazi al quindici per cento? “Il risultato di una Commissione indegna”. Von der Leyen? “Voto tre. Ci ha venduto”. Trump? “Voto otto. Un patriota. Per l’America”. Generale, cosa farà la Lega? “Ripresenteremo la sfiducia a Ursula”. Ancora? “Lavoriamo alacremente”. Sempre contro Ursulaccia? “L’accordo di Tunberry dimostra la sua pochezza”. Dalla pochezza di informazioni cosa ha capito? “Che la Ue ci ha ammorbato con le rinnovabili salvo acquistare ora gas liquido per 750 miliardi”. Cosa servirebbe? “Un grande calcio”. Non ci dica dove ma ci dica a chi! “Al Green deal. Serve l’Europa di Lepanto”. Mamma li turchi!
Ci salveranno i tappetari o forse siamo davvero al tappeto. Il primo risultato dell’accordo Trump-von der Leyen? Questo: Elly Schlein la pensa come Vannacci e Salvini come Peppe Provenzano. Tutti e quattro ce l’hanno con l’accordo del 15 per cento, Trump-Von der Leyen, che dice Schlein “non è un buon accordo ma una resa alle imposizioni americane”. Salvini? Ecco la sua dichiarazione: “Per capire se l’accordo raggiunto tra Ue e America sui dazi al 15 per cento è sostenibile bisogna parlare con le imprese”. E’ già un sottosopra, uno strazio, un salasso. Di alleanze. Il Generale Vannacci al telefono, con il Foglio, indica la linea: “Sa cosa diceva Einstein? Che follia è fare sempre le stesse cose. Mi segua”. Ci proviamo. “Un negoziato si dice negoziato se si negozia, ma in questo caso il vantaggio per l’Europa qual è? Lei sa qual è?”. Generale, ma voi della Lega, con chi state? “Siamo per la sfiducia a Ursula, per il cambio di marcia”. Sì, ma i dazi li ha messi Trump, corretto? “Sì, ma Trump, che è un patriota, fa gli interessi del suo paese, e noi apprezziamo il patriottismo. Trump ha solo difeso i suoi interessi”. Ursulaccia? “Se l’avessimo sfiduciata non avremmo questo accordo”. E però, Meloni ha detto ‘no’ alla sfiducia, poche settimane fa, si ricorda? “Non entro nelle decisioni della presidente Meloni”. Generale, lei quale soluzione propone? “Glielo dico quando mi voterete alla guida dell’Europa”.
Ora è chiaro per quale motivo Meloni ha preteso che il comunicato sui dazi fosse congiunto, a tre Meloni-Salvini-Tajani? Aveva già intuito tutto. Dalle parti di Forza Italia: “Semplice, Meloni si attendeva la reazione della Lega. Per evitare che Salvini e la Lega si scatenassero ha preteso quella nota, ma con Salvini si sa, non funziona”. A proposito, Salvini, ma dov’è? Chiamiamo ai leghisti che sono presi dalla festa della Lega a Cervia, questo fine settimana, e ci dicono che il segretario forse parla, anzi, è sicuro, e che al momento il mandato è dire: “E’ tutta colpa di von der Leyen. Con questa frase non si sbaglia mai”. Si fanno le 14,30 e Salvini interviene da Bardonecchia per dire che “sui dazi ha parlato la presidente del Consiglio” e che senza dubbio “Giorgia Meloni ha fatto il possibile e l’impossibile ma che è chiaro che un’Europa a trazione tedesca, che fa gli interessi dei tedeschi, che si occupa solo degli errori tedeschi, pensiamo al Green Deal, è sbilanciata nei confronti di altri Paesi”. Insomma, ma abbiamo vinto o abbiamo perso? Chiamiamo al Politburo Lega dove c’è sempre qualcuno che ha le idee chiare e che spiega: “Ma è ovvio. Ha vinto Trump che ha fatto il sovranista per il suo paese e ti dico di più è tutto da scoprire cosa c’è nella lista dei prodotti. Vuoi vedere che Francia e Germania si sono accordati a scapito dell’Italia? Qui bisogna studiare le carte, i “dettagli”. La parola del giorno diventa infatti “dettagli”. Meloni da Addis Abeba dice che “vuole vedere i dettagli”. Al Mef, dove abita l’abate Giorgetti (ma quando scriviamo è a Milano) non si commenta perché mancano “i dettagli” e perché l’abate Giorgetti pensa come Dinouart (L’arte del tacere, Sellerio) che “è bene parlare solo quando si deve dire qualcosa che valga più del silenzio”. Neppure finisce di pensarlo e Salvini, che si è spostato a Milano, fa sapere che “le regole europee sono un massacro. Il più grande dazio? E’ il green deal”. Una giornata storica (“e però mancano i dettagli”) in Italia finisce così: politica interna. Tajani dice che la Lista Zaia, in Veneto, non è una buona idea (e lo fa per provocare Zaia che a sua volta chiede conto a Salvini) Max Romeo, che è il segretario della Lega lombarda, avvisa che “se il Veneto dovesse andare alla Lega, anche la Lombardia sarà della Lega” e nella lista (della spesa) aggiunge anche la città Milano, il dopo Beppe Sala: “L’ex rettore Ferruccio Resta ha il profilo per affrontare questa sfida”. La fascia da capitano? In Europa l’ha presa Vannacci. Solo Trump poteva farcela. E’ riuscito a metterli insieme come la Lega Santa: lui, Salvini, Conte, Schlein. A Trump daranno la Groenlandia e a Peppe Provenzano, come minimo, l’isola di Cipro.