“Svolta su costi dell’energia entro settembre, una Zes unica in tutta Italia, impegno dell’Italia per un Recovery dedicato all’industria”. L’immobilismo è più pericoloso dei dazi. Dati e impegni
E dunque eccoci qui. I dazi sono arrivati. Fanno meno male rispetto a quanto avrebbero potuto far male, come ci dicono in fondo le borse europee, che ieri non hanno subìto grandi scossoni (Francoforte -1,02 per cento, Parigi -0,43 per cento, Milano +0,1 per cento). Fanno più male di quanto sarebbe accaduto se non ci fossero stati (se prendi uno schiaffo invece di cinque schiaffi resta sempre uno schiaffo). Fanno male all’Europa, fanno male all’Italia, fanno male alle imprese, fanno male al commercio, fanno male alle esportazioni. Ma se c’è qualcosa che può fare ancora più male dei dazi è osservare la mannaia trumpiana con lo sguardo della disperazione, con la postura della depressione, con l’approccio della lagna. E dunque, sì, non c’è dubbio, i dazi trumpiani sono lì a testimoniare una vittoria politica, vedremo se economica, del presidente americano. La scena dei tassati che scelgono a pochi passi dal campo da golf di Trump in Scozia di sollevare il pollice per ringraziare Tariff Man di averli schiaffeggiati non troppo è a metà tra la surrealtà e l’autoumiliazione. E una volta appurato che la formula del “kiss my ass” di Trump ha trovato terreno fertile, non che ci fossero molte opzioni, il passo successivo, doveroso e necessario, è provare a capire come muoversi, cosa fare, cosa pensare, come agire, per evitare che gli schiaffi americani possano trasformarsi in immobilismo depressivo.
Emanuele Orsini, presidente di Confindustria, ha scelto di iscriversi al partito del Psl: preoccupazioni senza lagna. La preoccupazione di Orsini è testimoniata dalle sue parole, e parole consegnate ieri mattina al Foglio, nelle sue preoccupazioni c’è prima di tutto un numero: 22,6 miliardi. “I ventidue miliardi – ci dice Orsini –, coincidono con il saldo commerciale negativo per le nostre imprese. Si tratta di un buco enorme, di un problema vero, di un guaio concreto. Il calo sarà forte nei macchinari, negli apparecchi, nei veicoli. La manifattura ne soffrirà. Certo, poteva andare molto peggio, i dazi al 15 per cento sono lo scenario che in fondo ci aspettavamo, ma la verità è che se guardiamo agli altri dazi messi da Trump, in giro per il mondo, un’omogeneità c’è, e non esiste un paese più punito degli altri”.
“Ripartiamo tutti dagli stessi blocchi di partenza. Ma per evitare, come Europa e come Italia, di rimanere più indietro, in quei blocchi, dobbiamo darci da fare, rimboccarci le maniche e capire come superare quei gap che potrebbero farci partire in ritardo rispetto ad altri competitor”. Dire che l’Europa deve darsi una scossa in questo caso non è solo un esercizio di retorica ma è un tema legato a una serie di priorità che si trovano sul tavolo. “Intervenire con forza sulla burocrazia europea significa riuscire ad allinearsi agli standard regolatori e amministrativi americani, cioè eliminare parte delle procedure ridondanti, incoerenti o sovrapposte tra istituzioni europee e nazionali. In questo senso, l’Unione europea riuscisse a ridurre il peso della burocrazia al livello degli Stati Uniti, la produttività europea aumenterebbe fino al 6,7 per cento”.
Orsini chiede anche un intervento deciso sull’Ets (sistema europeo di scambio delle emissioni) per evitare che la transizione ecologica si trasformi in una trappola economica per l’industria italiana ed europea. Ma soprattutto invita l’Italia a farsi promotrice in Europa di una battaglia cruciale: proteggerci dai dazi di Trump con la stessa forza con cui ci siamo protetti dal Covid. Orsini non arriva a dire che Trump sia un virus, ma i dazi certamente sì. “Serve un piano di politica industriale a livello europeo costruito con modalità simili a quelle utilizzate ai tempi del Covid, cambiando i tetti della spesa, andando in deroga ai trattati sul deficit. Tutelare l’industria Europea è una priorità assoluta. Occuparsi dell’efficienza, della burocrazia, della competitività è necessario ma non sufficiente. Bisogna fare uno scatto e fare concorrenza con i fatti agli Stati Uniti. Loro vogliono attrarre investitori? Noi non possiamo essere da meno: facciamo tutto ciò che va fatto per rendere l’Europa più attrattiva. Ora, non domani”. Vale anche per l’Italia? Naturalmente, dice Orsini. “Giorgia Meloni ha lavorato con dedizione, attenzione e serietà, in questi mesi, per provare a contenere l’impatto dei dazi. Quello che ora serve, all’Italia, è provare a smontare, con forza, i suoi autodazi interni. La burocrazia, in primo luogo. Ma c’è anche altro. Una priorità è dirottare i soldi non spesi sul Pnrr per gli investimenti. Una seconda priorità è creare le condizioni per dare incentivi alle imprese piccole poco produttive per portare avanti aggregazioni. Una terza priorità è ovviamente l’energia, i cui costi sono un fardello per le imprese italiane, e sono felice che il presidente del Consiglio ci abbia promesso entro settembre, non più tardi, di abbattere il costo dell’energia portandolo davvero ai livelli degli altri paesi europei”. Ovvero: non più 100 megawatt/ora, ma circa 60-65 euro.
Meloni, già nelle ultime settimane, ha promesso di intervenire sul disaccoppiamento tra il prezzo del gas e quello dell’energia, e portarlo alla cifra indicata da Orsini sarebbe un successo, ma il presidente di Confindustria, nel suo ragionamento, offre un altro elemento prezioso per capire cosa potrebbe fare l’Italia per trasformare i dazi di Trump in una terapia d’urto per rendere il nostro paese più attrattivo. Per Orsini è centrale “un’accelerazione immediata negli accordi di libero scambio con Mercosur, Asean, Australia, Corea del sud, Taiwan”, e onestamente, dice Orsini, “non si capisce cosa aspetti la politica a dare il via libera a questi accordi”. Orsini considera cruciale potenziare Ice, Sace e Simest, per aiutare le imprese italiane a essere ancora più competitive in giro per il mondo. Ma il grande tema che riguarda l’Europa, e anche l’Italia, ed è un tema legato anche al rafforzamento dell’euro rispetto al dollaro, perché è vero che un dollaro debole non aiuta le esportazioni in America ma è anche vero che un euro più forte, dice sempre il presidente di Confindustria, “permette all’Europa di essere percepita come più stabile, più sicura, e dunque potenzialmente più attrattiva”, riguarda le strategie necessarie per sostituire la logica della lagna con quella della riscossa. E la parola centrale è una: competitività.
La proposta di Orsini, testuale, per rendere nel breve termine l’Italia più competitiva, e dunque più attrattiva, è di “estendere a tutta l’Italia il modello della Zes utilizzata per le regioni del Mezzogiorno”. La Zes unica (Zona economica speciale per il Mezzogiorno) è entrata in vigore nel 2024, è una riforma che ha accorpato le otto precedenti Zes regionali del Sud Italia in un’unica grande area agevolata, che copre tutte le otto regioni meridionali: Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sicilia e Sardegna. L’idea è semplice e ambiziosa: trasformare tutto il sud in una grande area franca per gli investimenti, semplificando le procedure amministrative, riducendo i tempi e creando un contesto competitivo e attrattivo per imprese italiane e straniere. Secondo quanto riferito da Orsini, “la Zes unica ha già mobilitato 28 miliardi di euro di investimenti, a fronte di soli 4,8 miliardi di euro di spesa pubblica, con la creazione stimata di circa 35 mila posti di lavoro”. Il cuore del funzionamento della Zes unica sta in una parola chiave: deroga. Il meccanismo prevede che i comuni interessati dagli insediamenti produttivi dentro la Zes possano operare in deroga rispetto ai tempi e alle modalità ordinarie di rilascio delle autorizzazioni (urbanistiche, paesaggistiche, ambientali, edilizie), attraverso la creazione di una corsia preferenziale per i procedimenti amministrativi, un’adozione della formula del silenzio-assenso in tempi ridotti, un commissario della Zes con potere sostitutivo in caso di inerzia degli enti locali, uno sportello unico digitale nazionale che centralizza le richieste e ne monitora l’avanzamento. “Un’impresa che vuole investire non deve attendere anni per avere una risposta da dieci uffici diversi, ha bisogno di un interlocutore unico, tempi certi e, se necessario, un intervento sostitutivo”.
Orsini, pensando probabilmente a qualche caso recente di cronaca italiana, dice che l’efficienza dovrebbe essere considerata come una virtù, come un elemento positivo, “non andrebbe criminalizzata”. Il riferimento di Orsini, naturalmente, è al caso Milano, ma il tema è più generale. Se si vuole affrontare a testa alta la stagione dei dazi trumpiani, le strade sono due. La prima strada è quella del lamento costante, dell’incertezza incontrollabile, della ricerca di capri espiatori. La seconda strada è quella di rimboccarsi le maniche, di trasformare le difficoltà in opportunità e di iniziare a pensare non a quello che gli alleati dell’Europa dovrebbero fare per noi ma a quello che l’Europa e l’Italia potrebbero fare per se stessi senza pensare a Trump. I dazi, forse, passeranno, l’efficienza, se mai dovesse esserci, resterà. Scegliere da che parte stare non dovrebbe essere così difficile. I dazi fanno male, l’immobilismo forse ancora di più.