India, Indonesia, Malesia, Emirati Arabi Uniti e Mercosur: vanno avanti le trattative dell’Unione europea verso gli altri stati e regioni per tutelare il proprio commercio in vista dei dazi di Washington. Qualche mappa per capirci di più
Entro il primo agosto l’Unione europea e gli Stati Uniti dovranno trovare un accordo per regolare il commercio tra i due paesi, dopo le minacce di dazi agitate del presidente Donald Trump.
Parallelamente al tavolo con Washington, se ne montano di nuovi con altri paesi. Si cercano strade alternative e mercati cuscinetto per tutelarsi dallo shock commerciale provocato da un partner tanto strategico quanto ondivago come gli Stati Uniti. Va letto in questo senso l’accordo “storico” di libero scambio tra Londra e New Delhi firmato oggi dal premier britannico Keir Starmer e il suo omologo indiano Narendra Modi: un’intesa che punta a incrementare di 25,5 miliardi di sterline gli scambi commerciali tra i due paesi e a eliminare restrizioni e tasse sull’export rispetto a vari prodotti.
E l’Ue? Attualmente sono più di 40 gli accordi commerciali che Bruxelles ha stretto con più di 70 paesi e regioni per facilitare il commercio internazionale riducendo dazi e barriere di ogni tipo. Questi si suddividono in accordi di partenariato economico, (a sostegno dello sviluppo dei partner commerciali dei paesi dell’Africa, dei Caraibi e del Pacifico), di libero scambio (per l’apertura reciproca dei mercati), di associazione (per rafforzare accordi politici più ampi) e infine accordi commerciali non preferenziali, nell’ambito di intese più ampie come gli accordi di partenariato e cooperazione.
Qui una mappa dei vari accordi commerciali in vigore tra Ue e più di 70 paesi e regioni. La dimensione di ogni cerchio varia in base al volume degli scambi
Accanto agli accordi già conclusi, ve ne sono alcuni ancora in fase negoziale. I paesi con cui Bruxelles cerca di intessere relazioni sono parecchi. Tali intese rappresentano un’ulteriore risorsa per consentire all’Unione europea (e agli stati con cui sta negoziando) di aprire canali commerciali alternativi agli Stati Uniti. Ecco una mappa che li raccoglie.
Andiamo per ordine. Con l’India i negoziati per raggiungere un accordo di libero scambio stanno proseguendo, seppure con qualche intoppo. Gli ostacoli maggiori sono legati alla richiesta europea di ridurre i dazi sulle auto e sui prodotti lattiero-caseari, insieme a un maggiore impegno climatico. L’India, dal canto suo, intende proteggere gli agricoltori locali ed evitare norme ambientali troppo rigide. Nessuna di tali questioni è facile da risolvere, ma entrambi i paesi hanno sottolineato più volte l’urgenza di trovare un accordo commerciale, come è risultato evidente dalle parole della presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen alla fine di febbraio, durante una sua visita in India: “Sono ben consapevole che non sarà facile, ma so anche che il tempismo e la determinazione contano, e che questa partnership arriva al momento giusto per entrambi”.
Entro settembre si attende la firma di un accordo con l’Indonesia. Lo hanno annunciato la presidente della Commissione e il presidente della Repubblica d’Indonesia, Prabowo Subianto in un comunicato di giugno, con l’auspicio di contribuire (oltre alla creazione di nuove opportunità commerciali) anche al rafforzamento delle catene di approvvigionamento di materie prime essenziali per l’industria europea delle tecnologie pulite e dell’acciaio. I negoziati fra i due paesi sono in corso da un decennio, ma la minaccia commerciale di Trump ha contribuito ad accelerare le trattative.
Il 20 gennaio (mentre Trump si insediava per la seconda volta nella Casa Bianca) sono ripartite anche le trattative con la Malesia, nell’ambito di un generale rafforzamento dei legami con i paesi del Sud-est asiatico. Non a caso, l’Associazione delle nazioni del sud-est asiatico (Asean) rappresenta, nel complesso, il terzo partner commerciale dell’Ue al di fuori dell’Europa (dopo la Cina e gli Stati Uniti). “Un accordo di libero scambio porterebbe le nostre relazioni commerciali a un livello superiore”, ha dichiarato von der Leyen, sottolineando che “con un commercio tra noi che vale già 45 miliardi di euro all’anno, offriremo vantaggi ancora maggiori per imprese e consumatori, soprattutto per i prodotti industriali”.
Tre giorni prima dell’inauguration day, l’Unione europea e il Messico hanno trovato l’intesa per modernizzare il loro accordo globale di cooperazione entrato in vigore nel 2000. Il nuovo patto, infatti, amplifica la portata del libero scambio in settori cruciali come i servizi finanziari, i trasporti, il commercio elettronico e le telecomunicazioni, eliminando barriere commerciali e garantendo condizioni di parità. Un risultato importante, considerando che il Messico è ricco di zinco, rame, antimonio e manganese: metalli preziosi per la costruzione di motori, batterie e semiconduttori.
Nell’aprile 2025, l’Ue e gli Emirati Arabi Uniti hanno concordato di aprire i negoziati per un accordo di libero scambio definito “ambizioso e commercialmente vantaggioso”. Avviate formalmente il 28 maggio 2025, le trattative si concentrano sulla riduzione delle tariffe sui beni e sulla facilitazione dei servizi, del commercio digitale e dei flussi di investimento, in modo da “promuovere il commercio in settori strategici, come le energie rinnovabili, l’idrogeno verde e le materie prime essenziali”.
A questo elenco si aggiungono poi Brasile, Argentina, Paraguay, Uruguay. Un mese dopo l’elezione di Trump, la Commissione europea ha infatti finalizzato il negoziato per un accordo di libero scambio con i paesi del Mercosur, il mercato comune sudamericano. È servito un negoziato di oltre venti anni per arrivare a un accordo pensato per creare una delle zone di libero scambio più estese al mondo, riducendo i dazi doganali per i business europeo per un valore complessivo di oltre 4 miliardi di euro, con un’attenzione particolare alla riduzione dei costi amministrativi per le piccole e medie imprese. Sebbene sia stato raggiunto un accordo di principio, l’accordo non è ancora stato ratificato, poiché richiede l’approvazione del Consiglio e del Parlamento europeo. Per bocciare il trattato serve il veto di almeno quattro paesi Ue che rappresentano almeno il 35 per cento della popolazione, e per adesso c’è il no di Francia, Austria, Polonia e Olanda (che sommano il 30 per cento della popolazione). Il governo Meloni non ha ancora sciolto le riserve, anche se alcuni ministri hanno fatto timide aperture in cambio di compensazioni a favore degli agricoltori.
Sul solco dell’impegno europeo per tutelarsi dai dazi trumpiani, va poi ricordata la ridefinizione dell’Organizzazione mondiale del commercio rilanciata ieri da von der Leyen al 30° vertice Ue-Giappone a Tokyo. Per l’Unione europea si tratta di un obiettivo strategico, fissato nell’agenda politica ormai da anni, ma che (come tanti altri negoziati) potrebbe vedere nelle strette commerciali un ulteriore spinta a realizzarsi.
“Crediamo nella competitività globale e che porti vantaggi per tutti”, ha detto la presidente della Commissione, sottolineando come l’Ue e i paesi firmatari del Cptpp (accordo commerciale di libero scambio Asia-Pacifico) possano “guidare una riforma significativa del Wto, in modo che le regole del commercio globale riflettano le sfide odierne e i rischi futuri”. Attualmente l’accordo, firmato nel 2018, coinvolge Australia, Brunei, Canada, Cile, Giappone, Malesia, Messico, Nuova Zelanda, Perù, Singapore e Vietnam. Dal luglio 2023 vi ha formalmente aderito il Regno Unito, e nello stesso mese l’Ucraina ha presentato domanda formale di adesione.