Filoisraeliano ma anche anti israeliano. Povero Leone, tutti lo tirano già per la talare

Prima accusato di essere pro Netanyahu, poi troppo filopalestinese. I russi dicono che non è neutrale sul conflitto con l’Ucraina. E in mezzo arriva perfino il commento di Patrick Zaki. Papa da neanche tre mesi e già messo in croce

Roma. Prima lo accusavano di essere silente, di non lanciare anatemi e condanne, di non scomunicare i trafficanti di armi e perfino gli ebrei (s’è letto anche questo). Ora, è accusato di non dire quel che si dovrebbe dire. Leone XIV prima era troppo filoisraeliano, sentenziavano implacabili i tribuni da social che mettevano a confronto il suo aplomb misurato con l’esuberanza di Francesco, i cui video delle telefonate con il parroco di Gaza erano divenuti il manifesto di una postura vaticana che aveva convinto Benjamin Netanyahu a non mandare nessuno ai funerali papali, lo scorso aprile. E poi tutti quei messaggi spediti agli esponenti più in vista dell’ebraismo, ai rabbini invitati perfino alla messa d’inizio pontificato… Poi, dopo “l’errore di tiro”, ecco che Leone diventa l’anti israeliano, colui che ha osato parlare di “attacco dell’esercito israeliano” e che ha permesso al suo segretario di stato di mettere in dubbio che il raid sia stato un errore (un proiettile deviato, come da inchiesta) e non invece un attacco deliberato.

Addirittura c’è chi, come fatto da Mario Sechi ieri su Libero, evocando l’antisemitismo, chiede che il Papa agisca in fretta “per cambiare il racconto offerto all’opinione pubblica” perché “in Vaticano serve più chiarezza, non sono tempi in cui la Chiesa può dichiararsi neutrale”, visto che “nella confusione dell’occidente si aggiunge un cattolicesimo che non trova la parola giusta per gli ebrei, che non riscopre l’origine di tutto nella Bibbia, il libro dei libri che racconta l’Esodo dall’Egitto alla Terra promessa, il cammino di un popolo che sfugge all’oppressione del faraone e segue la parola di Dio”. Il tutto mentre l’ambasciatore israeliano in Italia sosteneva che il Pontefice ce l’avesse con Hamas e non con il governo di Netanyahu. Prima troppo vicino alla causa d’Israele, ora troppo anti israeliano, insomma. E in mezzo arriva perfino il commento di Patrick Zaki, che dall’alto della laurea in Women’s gender studies – non proprio un cv da fine analista di cose geopolitiche – critica Leone XIV per fare poco o nulla: “Credo che Papa Francesco fosse più incisivo di Papa Leone nel tentativo di fermare la guerra e nella mediazione per ottenere un cessate il fuoco. Ha sempre insistito su questo punto. Non voglio fare paragoni ma la mia opinione è che da un punto di vista diplomatico, anche se non ha cambiato nulla in termini pratici, Papa Francesco faceva molto di più per fermare la guerra”.

Insomma, in due mesi e mezzo di pontificato, il povero agostiniano divenuto vescovo di Roma è passato dall’essere pro Bibi a pro Gaza e – visto che ci siamo – disinteressato alla questione. Ma anche spostandosi a un altro fronte di guerra, quello russo-ucraino, le cose non cambiano. Il metropolita Antonij di Volokolamsk, inviato del Patriarca Kirill che sabato sarà ricevuto in udienza da Leone, è perplesso. Intervistato da Repubblica, si dice pronto al dialogo ma sottolinea che con questo Papa yankee le cose non vanno troppo bene per la causa del Cremlino: “Francesco aveva cercato di capire le radici del conflitto ed era riuscito ad avere un approccio equilibrato. Avendo parlato più volte a quattr’occhi con lui non solo del conflitto ma anche della libertà religiosa in Ucraina, sapevo bene come la pensasse”. E Leone? Beh, “un mediatore dovrebbe essere neutrale per poter mantenere un dialogo equilibrato tra le parti e non sono sicuro che la Chiesa cattolica romana possa dirsi neutrale”. Papa da neanche tre mesi e già tirato da tutti per la bianca talare. Per fortuna s’è ritemprato al fresco dei Castelli.

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  • Matteo Matzuzzi
  • Friulsardo, è nato nel 1986. Laureato in politica internazionale e diplomazia a Padova con tesi su turchi e americani, è stato arbitro di calcio. Al Foglio dal 2011, si occupa di Chiesa, Papi, religioni e libri. Scrittore prediletto: Joseph Roth (ma va bene qualunque cosa relativa alla finis Austriae). È caporedattore dal 2020.

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