Matteo Ricci non è il primo politico a finire sotto inchiesta per aver cercato di ottenere “popolarità e consenso”. Il precedente del sindaco tranese Pinuccio Tarantini e la lezione per i pubblici ministeri
Commentando l’indagine a carico di Matteo Ricci, accusato dalla procura di Pesaro di corruzione per aver ottenuto “popolarità e consenso” dalla realizzazione “con modalità illegittime” di murales ed eventi pubblici nella città di Pesaro di cui era sindaco, il prof. Giovanni Fiandaca – un’autorità del diritto penale – ha detto al Foglio che la criminalizzazione del consenso elettorale inteso come “utilità penalmente rilevante” è “un approccio minoritario e molto criticato dalla pressoché totalità degli studiosi di diritto penale”. Ma per quanto minoritario, quello di Ricci, europarlamentare del Pd e candidato alla presidenza delle Marche, non è un caso eccezionale. C’è un precedente, per certi versi molto simile, che riguarda un ex sindaco di Trani. Si tratta di Pinuccio Tarantini, all’epoca esponente di Alleanza nazionale, che finì a processo per abuso d’ufficio e induzione indebita per l’“Estate tranese” 2005-2006, il programma turistico-culturale della cittadina pugliese. Per la procura di Trani la manifestazione era costata troppo e il sindaco ne aveva beneficiato in termini di visibilità. Tarantini venne addirittura condannato in primo grado.
In appello il sindaco e gli altri 13 imputati vennero in parte assolti e in parte prescritti perché, pur assolvendolo per il reato più grave, secondo il Tribunale la promozione turistica non era l’unico obiettivo perseguito ma perché era presente anche “una finalità di visibilità politica del sindaco Tarantini e del suo partito politico”. Il sindaco fece ricorso in Cassazione per ottenere un giudizio di merito anche per i reati prescritti e così, nel 2016, cioè dieci anni dopo l’inchiesta, tutti vennero assolti perché “i fatti non sussistono”. Per il parallelismo con il caso Ricci, sebbene ogni vicenda abbia le sue specificità, sono interessanti le motivazioni di quella sentenza. La Suprema corte innanzitutto censurò la “palese confusione” del potere giudiziario che “va a sindacare il merito della scelta”, nella parte in cui i giudici avevano suggerito “interventi più lungimiranti” delle manifestazioni estive il cui beneficio era stato giudicato “passeggero”. Ma, soprattutto, per la parte che riguarda il consenso politico, la Cassazione scrive che “non rileva quale sia il movente” dell’azione amministrativa: “Non costituisce reato il fatto che, nel perseguire correttamente l’interesse pubblico, l’amministratore voglia fare bella figura” perché, scrivono i giudici, è una “condizione del tutto comune all’agire di qualsiasi pubblico ufficiale” che “al doveroso compito di fare bene il proprio mestiere aggiunga l’ulteriore movente di visibilità”. Nello specifico di un sindaco, conclude la Corte, questo aspetto “è l’assoluta normalità per la tipologia di incarico, politico, degli imputati”. Insomma, cercare il consenso non solo non è un crimine, ma è il naturale obiettivo di un politico.
Ma l’aspetto rilevante anche per il caso di Ricci non è solo questo. Perché Tarantini, dopo dieci anni, ha avuto ragione, ma nel frattempo cos’è successo? Intanto, ha smesso di fare politica anche perché coinvolto in altri processi da cui è sempre stato assolto. Il suo accusatore, il pm di Trani Antonio Savasta, invece, è stato rimosso dalla magistratura dal Csm ed è stato condannato in primo grado, dopo parziali ammissioni, nel processo per corruzione sulla “Giustizia svenduta” a Trani (un sistema di compravendita di atti giudiziari). Dopo Tarantini, la città di Trani elesse un altro sindaco di centrodestra, Gigi Riserbato, ma anche lui dopo pochi anni venne indagato e arrestato con accuse pesantissime di associazione a delinquere, concussione, corruzione, truffa e altro. Riserbato si dimise, lasciò la politica e ha affrontato un processo al termine del quale, dopo aver rinunciato alla prescrizione, è stato completamente assolto da tutte le accuse. Il suo accusatore, il pm Michele Ruggiero, invece è stato condannato in via definitiva per violenza sui testimoni (estorceva dichiarazioni sotto minaccia per inchiodare gli indagati) e il Csm lo ha sospeso dalla magistratura per due anni: a breve tornerà a fare il giudice. Nel frattempo, però, i due ex sindaci hanno abbandonato la politica attiva, anche perché le assoluzioni sono arrivate dopo dieci anni, e il colore dell’amministrazione della città è passato dalla destra alla sinistra. Anche nel caso delle Marche, a due mesi da elezioni molto combattute tra il presidente uscente Acquaroli e lo sfidante Ricci, un’inchiesta del genere, se pure dovesse rivelarsi infondata sul piano giudiziario tra qualche anno, può avere conseguenze politiche immediate e irreversibili.