Il cattivo rapporto della politica nazionale con i sindaci visto alla luce dei loro successi col Pnrr

Sono i rivali più temibili, soprattutto per i parlamentari del loro stesso partito, per le liste elettorali di domani. E sul tema dell’immigrazione, alla sinistra converrebbe ascoltarli

Non c’era bisogno di arrivare a Beppe Sala e ai mal di pancia del Pd per sapere quanto sia difficile il rapporto della politica nazionale con i sindaci. Difficile da sempre, per tutti i partiti e i governi. Difficile fino all’autolesionismo. Difficile fino al paradosso di un successo italiano, uno tra non moltissimi, che nessuno rivendica, per cui nessuno attacca i manifesti o si accalora nei talk-show. Né il governo e la sua maggioranza, né l’opposizione, che pure per una volta avrebbero entrambi una buona occasione per vantare un risultato certificato dalle statistiche e confermato dall’esperienza sul campo.

E’ una storia che ha molto a che fare con l’idea di città che ne hanno quelli che l’amministrano, e con la capacità di realizzarla quando ne hanno gli strumenti, rispettando le regole ma con la libertà e l’autonomia di decidere dove e cosa fare.



Secondo dati tratti dalla piattaforma Regis (dove si svolge e si registra la rendicontazione delle spese effettivamente effettuate dai soggetti attuatori del Pnrr) ed elaborati dall’Anci, ben il 92 per cento dei progetti finanziati dal Piano europeo e affidati ai sindaci è ormai nella fase conclusiva. Di questi, il 56 per cento è ormai al collaudo o l’ha superato, il 35 è in piena esecuzione: che vuol dire cantieri aperti, acquisti fatti, tempi rispettati. Per un importo totale non piccolo, visto che ai comuni è stato chiesto di investire quasi 27 miliardi di euro su un totale di 194 del Piano italiano.

Ben il 92 per cento dei progetti finanziati dal Pnrr e affidati ai sindaci è ormai nella fase conclusiva

Ma perché, quando qualche giorno fa l’Anci ha dato conto dei risultati raggiunti finora (l’occasione era il quarto compleanno del Pnrr), nessuno a Roma ha detto una parola, fatto un commento, espresso la minima soddisfazione?

Il contesto è dato dall’allergia che la politica nazionale ha sempre sofferto nei confronti degli amministratori locali e dei sindaci in particolare. Che sono tutti bravi e da coccolare al momento di prendere i voti, sono bravissimi per una settimana se i voti li hanno presi davvero, poi arretrano in un silenzio infastidito per tutta la durata del loro lavoro (ammesso che non diventino dei paria se sfiorati dalla magistratura, ma questo è un altro discorso).



I sindaci non sono molto simpatici a Roma perché hanno sempre richieste da fare a Parlamento e governo: tutti al Mef hanno sentito almeno una volta l’intemerata del Ragioniere dello stato di turno contro “le pretese” dei comuni quando cercano di sottrarsi ai ricorrenti tagli alla loro spesa corrente. Ma i sindaci sono mal sopportati nel Palazzo soprattutto perché il loro presidio del territorio è vissuto più come un problema che come un vantaggio: per deputati e senatori del loro stesso partito sono i rivali più temibili per le liste elettorali di domani; per le segreterie di partito sono potenziali leader del futuro che parlano e si muovono non secondo astratte logiche nazionali ma mossi dall’esperienza concreta e dalle attese delle proprie comunità.

E infatti, nel caso del Pnrr dei comuni la condanna del silenzio accomuna la politica nazionale di destra e di sinistra. Per motivi diversi.



C’è intanto la circostanza che, con una percentuale di oltre il 60 per cento di eletti del centrosinistra sul totale dei sindaci, che sale a dismisura per le città più grandi, quando Meloni o Salvini vogliono inaugurare un’opera targata Pnrr devono accompagnarsi di solito a gente di sinistra, finendo spesso per farsi rubare la scena: i social media manager di Gualtieri o Manfredi sono l’incubo dei loro colleghi ministeriali.



Poi per il governo non è facile in generale farsi bello col Pnrr, visto che per una parte comunale che ha funzionato – e ha funzionato perché a spendere i soldi c’era chi sapeva di cosa ci fosse bisogno in uno specifico posto, dove metterli e come – c’è quasi tutto il resto che arranca. Cifre contestate e mai abbastanza trasparenti sui progetti dei ministeri e degli enti statali e parastatali. Ritardi e fallimenti conclamati su alcune filiere, diversi flop nei lavori pubblici, dolorosi definanziamenti di opere importanti dell’alta velocità ferroviaria, e poi c’è tutta la parte riforme del Pnrr che è fatta solo di cifre: non ci sono nastri da tagliare (ammesso che fosse consigliabile) sulla riduzione dei tempi della giustizia o sulla digitalizzazione della Pubblica amministrazione.

Bisogna poi tenere conto che il Pnrr originario, e in gran parte è ancora così, era talmente politicamente corretto e profuso dello spirito della prima commissione Von der Leyen, che tuttora non se ne può spendere neanche un euro, per dire, per rifare o aggiustare le strade: per quanto riguarda la mobilità solo cura del ferro e mobilità intelligente e leggera. Neanche cento metri di asfalto si possono posare con questi soldi europei (e infatti Salvini se n’è spesso lamentato, lui almeno un pilone del ponte di Messina se lo sarebbe comprato volentieri).


Le colonne di NextGenerationEu (2020), giusto o meno che fosse, erano e rimangono transizione ecologica, transizione digitale, transizione energetica e investimenti nella sanità e nel sociale. Cioè, tutta roba che odora di progressismo e che infatti le destre europee – che all’inizio in buona parte non votarono NgEu a Bruxelles – ora stanno cercando di picconare o di dirottare: almeno da questo punto di vista le necessità del riarmo europeo tornano utili.

Disegnato a immagine e somiglianza del progressismo e della sua idea di modernizzazione ecosostenibile, quando il Pnrr si traduce in fatti concreti ancorché locali non suscita però a sinistra il calore che sarebbe giusto aspettarsi. E così quando l’associazione dei Comuni dà le sue cifre, anche nel centrosinistra si preferisce farle cadere nel silenzio.

Qui il discorso è più terra-terra, ideologie e transizioni c’entrano poco. Per le opposizioni, il Pnrr messo in mano a Meloni e ai suoi ministri è un fallimento e tale deve rimanere. Nella polemica politica, il Piano viene citato per contestarne lo snaturamento, i ritardi, lo spostamento di risorse (soprattutto, adesso, verso il settore della Difesa), lo scarso impatto su pil e occupazione.



Qui c’è la dissonanza cognitiva più evidente. Perché mentre questo è il discorso pubblico sul Pnrr, intanto in mezza Italia sotto gli occhi dei cittadini si aprono linee tranviarie e piste ciclabili (253 chilometri), si comprano autobus elettrici (825 sui tremila attesi per fine ’26), si ristrutturano le scuole e si aprono nuovi asili nido (sempre troppo pochi), si piantano alberi (oltre quattro milioni e mezzo nelle città metropolitane), sia pure a fatica si potenzia la digitalizzazione dei servizi pubblici locali.



Tutte cose molto “di sinistra”, realizzate prevalentemente da sindaci di centrosinistra. Ma se non fossero loro a comunicarlo ognuno per proprio conto – ne sanno qualcosa gli amministrati da Gualtieri – questa mole mai vista prima di investimenti pubblici, oltretutto… “politicamente corretti”, non sarebbe rivendicata da nessuno. Dipenderà forse anche dal fatto che le prossime elezioni, sulle quali le opposizioni contano molto, sono quelle regionali d’autunno, e le regioni come si sa sul Pnrr non hanno toccato palla. Dunque la popolarità dei sindaci non è all’ordine del giorno.

L’agenda dei sindaci se sfruttata a dovere potrebbe essere utile alla sinistra a ogni tornata elettorale



Peccato per la sinistra, perché invece l’agenda dei sindaci se sfruttata a dovere le potrebbe essere utile in ogni passaggio politico e a ogni tornata elettorale. Lo dimostra l’offensiva che gli amministratori locali hanno lanciato in questi giorni sul tema della sicurezza nelle città, anche con un affondo nei confronti del ministro Piantedosi che è sfuggito ai più.


Si sa che per la sinistra è sempre stato faticoso spostare la sicurezza ai primi posti delle priorità. Troppo scivoloso come tema: inevitabilmente, per quanti sforzi retorici si facciano, confinante con quello dell’accoglienza degli extracomunitari; sospetto di rispondere a pulsioni securitarie; alla fine, lasciato alla destra che può e sa maneggiarlo come un utensile di casa.

I sindaci del centrosinistra questi scrupoli non se li fanno. Chiedono da anni più agenti nelle strade, maggiore presidio delle zone a rischio, tutela specifica per i soggetti più esposti a cominciare dalle donne, videosorveglianza diffusa, coordinamento delle forze di polizia, e poi naturalmente tanta prevenzione, che è la parte del lavoro che spetta anche a loro di svolgere mentre il resto sarebbe, in teoria, compito dello stato e delle sue strutture.

Per tutto ciò servono soldi (che il governo “securitario” non mette). Serve la capacità di vedere che più sicurezza è fra le domande principali dei famosi ceti popolari di cui la sinistra avrebbe smarrito le tracce. E servirebbe anche l’onestà intellettuale di riconoscere che l’impatto sulla insicurezza percepita (ma anche su quella reale) di forti concentrazioni di popolazione immigrata in alcune aree metropolitane non sta solo nella propaganda della destra.



Diventato nel novembre scorso presidente dell’Anci, Manfredi si è lanciato su questa pista con la credibilità che un sindaco di Napoli può avere: quella di uno “informato dei fatti”. A Schlein questa sponda ha fatto comodo nello scontro parlamentare contro il decreto sicurezza, per evidenziare la contraddizione tra le “misure repressive” del governo e i suoi tagli ai fondi per le polizie locali. Non ci sono però altri segnali che il Pd voglia almeno provare a strappare alle destre la bandiera difficile da maneggiare della sicurezza metropolitana. Tanto per cominciare, misura minima, ci vorrebbe qualcuno privo di troppi scrupoli sull’argomento da buttare nel calderone delle polemiche tv, ma questo è un identikit che comprensibilmente non esiste nella squadra del Nazareno.



Eppure, quando verrà la prova elettorale nazionale, di questo si parlerà soprattutto. Lavoro, salari, inflazione, certo… ma anche quartieri abbandonati alla microcriminalità, incursioni violente nei centri cittadini e famiglie spaventate che evitano di girare per certe strade. Non un’emergenza forse, secondo le statistiche, ma una spina piantata nel fianco di molte città: chiedere a Sala, appunto. Su una questione così, Meloni e Salvini hanno già un parte da recitare, di default. Alla sinistra converrebbe dare adesso più retta ai propri sindaci, per poi dargli al momento giusto lo spazio politico che si sono meritati.

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