Il nuovo presidente Antonio Saccone non è un manager e non è un regista, tantomeno un produttore e neppure un attore. È un “politico trombato”, si direbbe. Eppure, il governo della Cultura doveva puntare a premiare le competenze e “non guardare alla tessera di partito”
Domani, secondo le indiscrezioni, all’assemblea indetta per l’approvazione del bilancio esordirà il nuovo presidente di Cinecittà: Antonio Saccone. Poche settimane fa, il ministro della Cultura Alessandro Giuli aveva detto che Cinecittà “era governata come l’Unione Sovietica: solo burocrazia, lentezza, controlli asfissianti da parte di nemici giurati della libertà di intrapresa e di movimento”, aggiungendo che fino a un anno prima era “era un cratere estivo ribollente di nulla”. Dopo le dimissioni piuttosto repentine della presidente Chiara Sbarigia ci si attendeva una svolta repentina, una rivoluzione liberale per modernizzare questo moloch parasovetico. La missione è impossibile, perché a riformare l’Unione Sovietica non c’è riuscito neppure Michail Gorbachev.
Il profilo del nuovo presidente, per essere all’altezza della sfida della perestrojka cinematografica, deve quindi essere certamente quello di una persona con solida esperienza manageriale, magari con un pizzico di formazione internazionale, ma certamente con una conoscenza specifica del settore cinematografico e audiovisivo. Una personalità di livello superiore ai suoi predecessori, che sono stati appunto nomi come Chiara Sbarigia che è stata ai vertici dell’associazione dei produttori audiovisivi, o come Pupi Avati che ha passato una vita nel cinema, oppure come Ubaldo Livolsi che è stato un dirigente del gruppo Fininvest, o come Roberto Cicutto che è un importante produttore cinematografico.
E invece no. Antonio Saccone, apparentemente, non ha alcuna esperienza nel campo: non è un manager e non è un regista, tantomeno un produttore e neppure un attore. E’ un ex parlamentare, nato politicamente con la Democrazia Cristiana, candidato alle ultime elezioni con “Noi moderati” ma non eletto. Un “politico trombato”, si direbbe. Saccone è insomma un apparatchik dell’Udc, molto legato al segretario generale Lorenzo Cesa. Di esperienze cinematografiche, a parte quelle da spettatore in sala, non ne risultano. A quanto pare la sua nomina è in “quota Lega”, che deve essere l’elemento più rilevante del curriculum.
La destra si era presentata al governo della Cultura con due indicazioni di Giorgia Meloni: premiare le competenze e “non guardare alla tessera di partito”. Probabilmente c’è stato un fraintendimento sull’ordine impartito, perché il metodo pare quello di non guardare alle competenze e premiare la tessera di partito. Esattamente come accadeva in Unione Sovietica.