Urso apre all’ipotesi della città portuale per la nave rigassificatrice e i tre impianti di preridotto. In gioco ci sono investimenti e posti di lavoro. La decarbonizzazione dell’acciaieria potrebbe passare dalla Calabria
Gioia Tauro aspetta alla finestra. Se alla fine Taranto dovesse dire no alla nave rigassificatrice che serve per la decarbonizzazione dell’Ilva, la partita industriale potrebbe spostarsi in Calabria. L’ipotesi era emersa sottotraccia nei giorni scorsi, nel corso dei tavoli di crisi che si sono tenuti al ministero delle Imprese, e oggi è stata confermata dal ministro Adolfo Urso durante un question time alla Camera. Per la città portuale calabrese non significherebbe solo candidarsi a ospitare il rigassificatore galleggiante, ma anche avviare la produzione del preridotto che serve a sostituire il carbone, con l’apertura di tre impianti siderurgici e la creazione di nuovi posti di lavoro.
“Abbiamo previsto che l’Italia disponga di un polo Dri (direct reduced iron, gli impianti per realizzare il preridotto ndr) capace di alimentare sia i tre forni elettrici previsti a Taranto sia il forno elettrico che potrà essere realizzato a Genova”, ha spiegato Urso in Parlamento. “Se il Comune di Taranto autorizzerà la nave rigassificatrice il polo del Dri sarà collocato a Taranto, dove è naturale che sia per le migliori condizioni ambientali, economiche e produttive. Altrimenti lo realizzeremo in altra località portuale del sud, verosimilmente a Gioia Tauro”. D’altronde, le interlocuzioni tra la regione Calabria e il ministero sono iniziate da settimane. Urso ha sentito il presidente Roberto Occhiuto due volte nel mese di luglio, l’ultima giovedì scorso. Al centro dei colloqui c’è stato proprio lo sviluppo energetico della città portuale, che il ministro potrebbe visitare già ad agosto.
Per la decarbonizzazione dell’Ilva il gas è essenziale. I tre forni elettrici previsti nel progetto di Taranto e gli altrettanti impianti di Dri connessi, secondo i sindacati e il ministero, cuberebbero 5 miliardi di metri cubi di gas: un volume che può essere garantito solo con un’infrastruttura nuova. Non basterebbe infatti, secondo ministero e sindacati, il potenziamento del Tap. “Qualora un raddoppio ci fosse, servirebbe ad aumentare l’approvvigionamento di gas di un 15-20 per cento rispetto a oggi, non di più. E anche facendo affidamento sul gas in arrivo per esempio dalla Basilicata, secondo alcune stime non arriveremmo a metà del fabbisogno. Per questo non c’è una vera alternativa alla nave rigassificatrice”, ha detto al Foglio Ferdinando Uliano, segretario della Fim Cisl.
I conti sono in mano al comitato tecnico che si è riunito da ultimo oggi al ministero delle Imprese. Entro venerdì le valutazioni emerse saranno consegnate agli enti locali coinvolti, affinché possano decidere in piena consapevolezza. Decisivi saranno infatti il parere della Regione e quello del consiglio comunale di Taranto, convocato alla vigilia dell’incontro conclusivo per la firma dell’accordo di programma previsto per il 31 luglio al ministero di via Veneto. In questa occasione si capirà se avviare il complicato percorso di decarbonizzazione dell’acciaieria tenendo l’intero ciclo produttivo a Taranto, oppure se sondare l’ipotesi Gioia Tauro. L’obiettivo del piano è produrre 8 milioni di tonnellate di acciaio con quattro forni elettrici, compreso quello di Genova a cui sono attribuiti 2 milioni di tonnellate l’anno. Non una passeggiata, considerando le difficoltà industriali che attraversano l’intero continente.
Il dibattito è acceso. Il presidente Michele Emiliano e il sindaco Piero Bitetti non hanno ancora sciolto definitivamente le riserve ma non ci sono molti spiragli per un sì. Dall’altra parte, i sindacati hanno avviato un confronto con i lavoratori dello stabilimento di Taranto proprio per discutere delle soluzioni possibili. Assicurarsi gli impianti di Dri significherebbe avere garanzia dei livelli occupazionali e per questo le sigle metalmeccaniche auspicano una soluzione positiva anche per avere il rigassificatore in città. “La tutela dell’occupazione per l’ex Ilva dipenderà dalla localizzazione dei Dri”, ha detto Urso. “Senza la nave rigassificatrice gli impianti dovranno essere realizzati altrove, con perdita per Taranto di investimenti significativi e occupazione. La scelta è nelle mani, giustamente, del territorio e noi la rispetteremo”.
Gioia Tauro, si diceva, aspetta alla finestra. In regione la posizione è di una prudente apertura. Anche perché – oltre alla possibilità di una nave per il gnl – nella città calabrese è già stato autorizzato un rigassificatore terrestre, inserito dal governo Meloni tra le opere strategiche di pubblica utilità e rilanciato proprio dal presidente forzista Occhiuto, che spera in questa maggioranza per realizzare l’impianto. Il progetto è di Iren e Sorgenia, ha una capacità di 10 miliardi di metri cubi all’anno (il doppio di quelli di Piombino e Ravenna) e sarebbe il più grande rigassificatore del Mediterraneo. Ma la scarsa industrializzazione del sud e la conformazione dell’attuale rete del gas, che non è progettata per portare il combustibile fossile da sud verso nord, rendono l’investimento rischioso. Per questo le due società hanno chiesto che i ricavi siano garantiti al 100 per cento dallo stato, socializzando di fatto l’investimento in bolletta, come spiegato in un’audizione in Parlamento dal presidente di Iren. È evidente che lo scenario potrebbe cambiare nel caso in cui si avviasse a Gioia Tauro la produzione di Dri per Taranto, con lo sviluppo di un polo siderurgico integrato tra Puglia e Calabria che dovrebbe produrre 6 milioni di tonnellate di acciaio all’anno senza dipendere dall’importazione di rottame dall’estero.