La recensione del libro a cura di F. Franceschi, P. Nanni, G. Piccinni edito da Laterza, 355 pp., 24 euro
La retorica di origine rinascimentale del Medioevo assimilato ai “secoli bui” della storia è stata da tempo rivista, contestualizzata e in buona parte falsificata. Nella stessa scia, i tre curatori di questo volume, grazie all’apporto di qualificati studiosi della medievistica italiana e internazionale, tornano in maniera originale a ricostruire il quadro socio-economico tra il X e il XIV secolo soprattutto nella nostra penisola. L’immagine che ci viene restituita è quella di un periodo in cui non ci si limita a scoprire, assimilare e ripensare i modelli del passato (“non nova sed nove”), ma caratterizzato piuttosto da un misconosciuto vivido fervore di innovazione e creazione che pervade la società. Attraverso strumenti culturali, giuridici, finanziari e tecnici, si riplasma e a volte si reinventa a fondo la vita e l’organizzazione sia delle città sia delle campagne: si pensi, solo a mo’ di esempio, all’invenzione dell’università, del processo inquisitorio, della partita doppia o del meccanismo biella-manovella che trasforma il moto circolare in rettilineo e viceversa.
Oltre agli elementi dinamici e alla creatività del periodo, esaminati da Franco Franceschi, si mettono in risalto altri temi “portanti” quali il grado di consapevolezza che i contemporanei avevano del mutamento dei tempi (nel saggio di Paolo Nanni) o il rinnovamento dei linguaggi attraverso la comunicazione politica (nel saggio di Gabriella Piccinni).
Esemplare, anche per l’attualità dell’argomento, quanto scrive Sergio Tognetti nel saggio Aziende e organizzazione del lavoro a proposito della richiesta di prestiti di denaro fatta dal re d’Inghilterra Edoardo I (1272-1307) per sostenere i suoi obiettivi politici e militari. Il primato delle imprese mercantili-bancarie dell’Italia era in quel periodo indiscutibile, anche grazie a un livello di formazione professionale di dirigenti e funzionari che non aveva pari in Europa. Quindi Edoardo I si rivolse per prestiti importanti alla compagnia lucchese della famiglia Ricciardi che accettò infine di finanziare il re. Allo stesso tempo però suggerì al sovrano, a parziale garanzia del debito assunto, di introdurre una nuova tassa doganale che colpiva non i suoi sudditi ma gli esportatori di lana di qualità, prodotto che costituiva la più importante voce del commercio internazionale inglese (peraltro grazie a moltissimi imprenditori italiani presenti nell’isola). Gli introiti dei dazi andavano destinati alla copertura del debito nei confronti della compagnia Ricciardi il cui personale, con chiaro conflitto di interessi, avrebbe inoltre rivestito ruoli importanti nell’amministrazione della Dogana inglese. Il sistema delle “customs”, creato per alimentare le casse vuote di Edoardo I, con il suo evolversi è diventato così uno strumento di politica economica ancora oggi utilizzatissimo, come è sotto gli occhi di tutti. Un’altra delle eredità poco note del Medioevo.
a cura di F. Franceschi, P. Nanni, G. Piccinni
Medioevo che crea
Laterza, 355 pp., 24 euro