Il terrore prevale sulla parola. A sinistra nessuno difende il “modello Milano”

Pisapia è l’unico ex sindaco che non parla, Maran sta zitto, il Pd scarica il “salva Milano” e Schlein chiede discontinuità a Sala. Prevale la linea della procura

La sensazione è strana. Sembra che a difendere il sindaco di centrosinistra di Milano, coinvolto nell’inchiesta urbanistica della procura, c’è soprattutto il centrodestra. Hanno commentato la vicenda tutti gli ex sindaci, a difesa dell’autonomia del Comune e per escludere le dimissioni di Beppe Sala (pur manifestando qualche critica politica), da Letizia Moratti a Gabriele Albertini fino a Giampiero Borghini. Tutti tranne il difensore naturale: Giuliano Pisapia, predecessore progressista di Sala, di professione avvocato e con fama di garantista.

La questione non è tanto la solidarietà personale nei confronti del sindaco indagato, ma un modello di amministrazione e di sviluppo della città che certamente non è cominciato con Sala. E a sinistra non c’è nessuno in grado di rivendicare non semplicemente la presunzione d’innocenza, ma la bontà di una politica urbanistica che ha avuto una continuità nei decenni e che certamente coinvolge il Piano di governo del territorio (Pgt) approvato dall’amministrazione Pisapia. L’ex sindaco è chiuso nel suo silenzio, ha sempre parlato poco dopo aver lasciato Palazzo Marino, e non ritiene di dover dire nulla ora.

Ma anche altri politici attivi, esponenti di spicco di quella stagione, evitano di parlare. Pierfrancesco Maran, enfant prodige della sinistra riformista milanese, ha percorso da protagonista tutta questa parabola politica: è stato assessore per oltre un decennio, prima con Pisapia e poi con Sala, prima alla Mobilità e poi all’Urbanistica. Era diventato una sorta di “eroe”, il simbolo del “modello Milano”, quando nel 2018 nell’ambito dell’inchiesta capitolina sullo stadio della Roma si scoprì dalle intercettazioni che respinse un tentativo di corruzione da parte di un imprenditore romano che gli aveva offerto una casa: “Qui non si usa”, fu la risposta.

Quell’episodio divenne l’emblema di un’amministrazione capace di modernizzare la città nel rispetto della legalità. Sulla base della sua esperienza amministrativa Maran ha pubblicato anche il libro “Le città visibili”, che parla proprio della trasformazione urbana delle metropoli, e su questi temi ha condotto una campagna elettorale che lo ha portato al Parlamento europeo. Ora non dice nulla, solo un post su Facebook sull’“onestà” dell’amministrazione e sulla bontà del modello, anche se non più: “Era il modello giusto per quel decennio, ora ne serve un altro”.

A prevalere è una sorta di clima di terrore. L’inchiesta ha al momento 74 indagati, ma continua ad allargarsi, negli atti ci sono tante persone citate che non sanno se sono indagate o meno e tante altre che temono di essere coinvolte. Tutti vogliono evitare lo stigma dell’iscrizione nel registro degli indagati, e si presume che non dare nell’occhio possa contribuire a salvarsi. D’altronde ci sono precedenti indicativi. A gennaio 2024 Ada Lucia De Cesaris, ex vicesindaca della giunta Pisapia e protagonista della trasformazione urbana della città, rilasciò un’intervista al Corriere della sera in cui parlò dell’inchiesta della procura che aveva paralizzato gli investimenti come di “una caccia alle streghe”, peraltro rivendicando l’autonomia politica e amministrativa del comune: “Non si può usare la giustizia penale come un manganello”. Mesi dopo è stata perquisita e ora si scopre che è indagata per tentata concussione, pur non essendo un pubblico ufficiale da una decina d’anni. Probabilmente l’intervista critica nei confronti della procura non c’entra nulla con l’iscrizione nel registro degli indagati, ma nel dubbio meglio stare zitti.

D’altronde lo stesso Sala aveva scelto una sorta di appeasement con la procura dopo l’arresto del dirigente comunale Giovanni Oggioni, rinunciando alla necessità di approvare il cosiddetto “Salva Milano”, ovvero il disegno di legge che attraverso un’interpretazione autentica avrebbe dovuto sbloccare lo stallo dell’urbanistica causato dalle inchieste. Ma non è servito a Sala per tirarsi fuori dal tritacarne giudiziario. D’altronde, il campo era già stato abbandonato dal Pd di Elly Schlein che, sempre sotto la pressione delle inchieste della magistratura e della concorrenza di Giuseppe Conte, aveva già deciso di non approvare più il “salva Milano” al Senato dopo averlo votato alla Camera. Anche in questo caso, a volere la norma necessaria a sbloccare una metropoli amministrata dalla sinistra è rimasta la destra di Giorgia Meloni.

La linea singolare del Pd, al momento, pare quella di difendere la legalità dell’operato della giunta ma rinnegandone le scelte di fondo: “vicinanza” a Sala, ma “svolta urbanistica” nell’azione amministrativa. Il punto di caduta è lo stadio: la priorità del sindaco è vendere San Siro a Inter e Milan, quella del Pd è salvare l’unità della coalizione con M5s e Avs. Ma l’unità la si trova solo con la famosa discontinuità, ovvero se si blocca tutto. Passando, come vuole la procura, dall’immobiliarismo all’immobilismo. A quel punto l’esito dei processi penali non conterà più nulla: il modello Milano risulterà politicamente già condannato, senza che nessun protagonista abbia tentato una difesa d’ufficio.

  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali

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