Lo scioglimento del Pkk dopo 40 anni di resistenza armata è un caso di disarmo unilaterale, la scelta più controcorrente nel mondo contemporaneo. Le paci si possono fare. Mario Raffaelli, sottosegretario agli Esteri negli anni della mediazione italiana in Mozambico, ha pubblicato un diario meticoloso di quella fase: Si fa presto a dire pace (Marcianum Press)
La scena mondiale è così ingombrata dalle macerie delle violenze che usurpano il nome stesso di guerre, tanto sono sperticate e sleali, da far passare inosservati o quasi avvenimenti straordinari per il significato civile e per le conseguenze potenziali in aree delle più tormentate, com’è il vicino oriente. E’ passato così lo scioglimento del Pkk, il Partito dei lavoratori del Kurdistan, preparato da lontano, dal trapasso dalle origini dogmaticamente marxiste-leniniste alla romanzesca conversione pacifista, ecologista, femminista, libertaria e confederalista del suo leader prigioniero, da 26 anni, Abdullah Öcalan. Deciso mentre ancora il partito veniva condannato internazionalmente come terrorista, lo scioglimento si è celebrato con la cerimonia simbolica del rogo delle armi, fucili, caricatori, kalashnikov, lo scorso 11 luglio, nella provincia curdo-irachena di Suleimaniya, alla presenza delle e dei combattenti, delle autorità locali, delle madri dei caduti, delle donne yazide, dell’eroina Leyla Zana, la prima a parlare in curdo nel parlamento turco e a pagarlo con dieci anni di carcere, dei rappresentanti del governo turco. Argomentato dai protagonisti come la constatazione dell’assurdità di una continuazione della lotta armata nel tempo in cui “lo sfruttamento dell’intero pianeta e il bagno di sangue in corso in Medio Oriente rendono più che mai necessaria alle nostre genti una vita pacifica, libera, uguale e democratica. In questo contesto siamo pienamente consapevoli della grandezza, la giustezza e l’urgenza del passo che compiamo”.
Che passi come una resa e una vittoria sul campo del regime di Erdogan, o come una mossa, fomentata dai suoi componenti più integralisti, per rafforzarsi in mezzo alla più efferata persecuzione dell’opposizione politica, lo scioglimento del Pkk dopo 40 anni di lotta e resistenza armata è un vero episodio di disarmo unilaterale, la scelta più controcorrente al mondo contemporaneo. Bisogna farle festa e sorvegliarne le conseguenze.
La pace, le paci, come si diceva nell’Umbria di Francesco, si possono fare, oltre che sbandierare a salve. Una è diventata proverbiale per la riuscita e il merito che se n’è giustamente presa l’Italia, quella nel Mozambico tra gli ultimi anni Ottanta e il 1992, che segnò la fine della lunga e cruenta guerra civile fra il Frelimo, che nel 1975 aveva proclamato l’indipendenza del paese, già colonia del Portogallo, con la presidenza di Samora Machel, e la Renamo, sostenuta da Rhodesia e Sudafrica. La mediazione italiana è divenuta sempre più leggendaria e sempre meno conosciuta. Adesso Mario Raffaelli, allora sottosegretario socialista agli Esteri, e responsabile per il governo italiano, ha pubblicato un libro (Si fa presto a dire pace, Marcianum Press) che è un diario meticoloso degli oltre due anni di negoziati drammatici, tragici, rocamboleschi, grotteschi, avventurosi, comici: i modi in cui si ascolta e si parla con e fra nemici giurati avendo di mira la fine della guerra, che è altra cosa dal proclamare l’amore per la pace.
A quella straordinaria fatica partecipò con altrettanta responsabilità e influenza la Comunità di Sant’Egidio, e personalmente don Matteo Zuppi, oggi arcivescovo di Bologna. Il libro di Raffaelli è anche uno scioglimento definitivo, mi sembra, delle vere o immaginarie gelosie sul ruolo rispettivo delle persone, compresi il fondatore della Comunità Andrea Riccardi e il vescovo di Beira Jaime Pedro Gonçalves, e di volta in volta altre personalità e più semplicemente altre persone. In imprese simili la provvidenza o la fortuna, come si voglia chiamarla, ha una parte essenziale, accanto a una sconfinata santa pazienza. (E i cosiddetti casi della vita: il trentino Raffaelli trova a Maputo Marco Battisti, trentino e nipote di Cesare e volontario nella sanità, che gli ripresenta uno studente di sociologia a Trento, José Luis Cabaco, ora diventato ministro del governo mozambicano…). Raffaelli ha avuto poi altri incarichi in luoghi di guai, la Somalia e il Corno d’Africa, il Nagorno Karabach. Il suo è anche il racconto dei personaggi di spicco nella politica italiana (Craxi, Andreotti soprattutto) e mondiale, e di tante persone di tutti i giorni. E anche una nostalgia fattiva, come di chi intanto saltelli sul posto, per le occasioni che lo sventurato mondo d’oggi offre a chi abbia imparato un po’ come si fa. Condivisa, immagino, dal don Matteo fatto cardinale e svelto a ripartire.