Eterofatalismo, ovvero rassegnarsi alla solitudine o a incontri usa e getta

Appuntamenti saltati, messaggi che non arrivano, rapporti che non avviano la prima marcia. Le trentenni hanno il diritto di essere felici e innamorate, ma pare non ci siano più le condizioni (cioè gli uomini)

E dunque c’è un nome nuovo per il nostro scontento. E’ stata chiamata “la ritirata”. Gli uomini non valgono la fatica che ci vuole: sì, lo diciamo da tempo, ma ora il dado è veramente tratto. No, il fiume non si attraversa, stavolta abbiamo girato i cavalli. Parlo per le altre e non per me, io per fortuna vengo dal passato relativo, non devo più stare dentro al dating game per sopraggiunti limiti di resistenza e sciatiche, ma le trentenni no, le trentenni hanno il diritto di essere felici e innamorate, o anche solo innamorate, ma pare non ci siano più le condizioni.

Siamo arrivate all’ultimo abbattimento delle aspettative: da “va bene anche quello che passa il convento” a “il convento è chiuso”. Oltre non si può andare, non c’è più delusione possibile.

Abbiamo una nuova etichetta sulla tela di Penelope, “Eterofatalismo” c’è scritto. Coniato dagli accademici del battesimo sintattico (gli americani che non hanno niente da fare) per raccontare un idem sentire, un mal di capo che affligge quasi tutte. La sto facendo lunga: il problema è che non si trovano maschi normali, si è estinta la specie, non esiste più il minimo contrattuale del premessa-conseguenza che faceva dire “forse stavolta funziona”.

Garberebbe ancora stare con qualcuno – dicono tutte – ma bisogna rassegnarsi, perché non si trova il modo. E non si è capito che cosa serva. Dove siano stati fatti gli errori, quale procedura si debba rivedere. Bisognerà essere ottocentesche, evitare di essere signorine-fair-play-del-sesso-occasionale, far le ritrose, sparire, non rispondere ai messaggi, incoraggiare, scoraggiare, insomma si faccia un congresso sul tema: che volete?

Jean Garnett, sul New York Times, spiega il perché: i bravi ragazzi – quelli corretti e rispettosi – si rivelano mortalmente indecisi, con le ansie, incapaci di sostenere il peso di tre scambi. Si parla di “male withdraw”: la vecchia sparizione dello stronzo, ma stavolta non perché è un incoerente farabutto, perché ha dieci ragazze in agenda, ma perché è in crisi. Sinceramente in crisi, non è una scusa. Risultato: appuntamenti saltati, messaggi che non arrivano, rapporti che non avviano la prima marcia.

Nel frattempo le donne si ritrovano a fare quello che Ellie Anderson chiama “lavoro ermeneutico”: interpretare i segnali, decifrare le pause, tradurre le ambiguità. Il pollicino dell’amore, fai il pane con le briciole. Ma così passa la voglia, per carità.

Fosse almeno Nino Sarratore – una si dice – un archetipo bastardo, sarebbe così tutto più facile: per quel tipo d’uomo la fatica la fai volentieri, lo strazio lo gestisci. Sai bene che sei una povera ossessionata, la colpa è tua e ti adegui all’ovvio, cioè che stai male perché te le cerchi. Ma qui è il ragazzo preteso evoluto, il progressista. “Questi giovini hanno l’incapacità di desiderare con convinzione”, si dice al reparto psichiatria relazionale.

Che fatica. Era meglio quando sparivano senza dirti niente o adesso che spiegano diffusamente perché non ce la fanno? E nel frattempo, noi? Noi niente, risate sempre più isteriche.


Certo, certo, la crisi del maschio si sente dagli anni Novanta, è colpa di internet, dei social, delle immagini porno che sono ovunque e delle app di dating all you can eat, lo diciamo da vent’anni e Bret Easton Ellis scrive così:

“Se tutto è a disposizione senza alcuno sforzo o narrazione drammatica di sorta, che importa se ti piace oppure no? E il batticuore che accompagnava l’eccitazione – la suspense – dell’impegno che un tempo mettevi nel trovare immagini erotiche si è ormai perso nella facilità lo-fi d’accesso, che in realtà ha cambiato la nostra esperienza di attesa. C’erano un romanticismo in quell’era analogica, un ardore, una diversità che si sono persi nell’era digitale del post-Impero, quando ogni cosa infine ha cominciato a sembrarci usa-e-getta e a portata di mano”.

Sarà senz’altro questo ma saperlo non serve a niente. Di diagnosi ne abbiamo a palate, avanti con la cura. Che non c’è. Pare che sia una fase di transizione. L’eterosessualità che tenta di reinventarsi. Come dire che il gioco è quello vecchio ma stanno riscrivendo le regole, non si sa quanto ci vorrà. Nel frattempo i maschi elaborano e le femmine aspettano. La tentazione di ammettere “vincono sempre loro” è forte.

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