La Thailandia ha un problema con il turismo, c’entrano le “città della truffa” oltre il confine birmano. La pressione delle autorità nel Sud-est asiatico ha spinto le organizzazioni transnazionali a spostarsi nel continente africano, spesso con un progetto di influenza globale del Partito comunista cinese. Il report delle Nazioni Unite e un’inchiesta del Washington Post
Roma. Da quando lo scorso gennaio l’attore cinese Wang Xing è stato rapito in Thailandia e portato in una “scam city” – città della truffa, centri in cui le persone vengono spesso tratte a loro volta con l’inganno e sfruttate per compiere raggiri online attraverso investimenti, criptovalute, relazioni sentimentali e altre truffe – oltre il confine birmano, il turismo della Repubblica popolare nel paese è in crisi: per i cinesi Bangkok è diventata improvvisamente insicura, registrando un calo del 5 per cento rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. I visitatori cinesi sono da sempre la principale fonte di turismo in entrata in Thailandia, ora per la prima volta al secondo posto rispetto alla Malesia: è per questo motivo che il governo thailandese negli ultimi mesi ha aumentato la pressione sulle strutture d’azzardo diffuse lungo i confini del paese, molte delle quali gestite da organizzazioni criminali cinesi in Myanmar e in altre zone “senza legge” del Sud-est asiatico, tra cui Cambogia, Laos e Filippine, spesso collegate al riciclaggio di denaro proveniente da traffico di droga e altre attività criminali nella regione.
Nonostante gli sforzi per contenere l’industria globale delle truffe online, è ancora qui il fulcro delle operazioni dei gruppi criminali organizzati transnazionali, secondo l’Ufficio delle Nazioni Unite contro la droga e il crimine (Unodc). Un ultimo report pubblicato dall’agenzia suggerisce però che la pressione nella regione stia spingendo il settore delle truffe online a migrare in alcune zone dell’Africa, dell’Asia meridionale, del Golfo e del Pacifico, dice al Foglio il responsabile dell’Unodc per il Sud-est asiatico e il Pacifico, Benedikt Hofmann, utilizzando la similitudine con una malattia incurabile: “Le autorità la curano in una determinata zona, ma le radici si spostano, non scompaiono”. In America Latina alcune organizzazioni criminali si sarebbero affiancate ai cartelli della droga, ma a preoccupare di più gli esperti è un aumento delle operazioni nel continente africano, in particolare in Zambia, Angola e Namibia, e anche in un paese del Caucaso: la Georgia.
Molte di queste organizzazioni hanno collegamenti sottotraccia con il Partito comunista cinese, libere di agire all’estero negli interessi di Pechino, con una sola condizione: non prendere di mira i cittadini cinesi. Una lunga inchiesta del Washington Post pubblicata il mese scorso racconta ad esempio le attività dell’associazione cinese Hongmen, che funge da copertura per la triade 14K, uno dei più grandi gruppi criminali organizzati in Cina, coinvolto in “traffico di droga, gioco d’azzardo illegale, racket, tratta di esseri umani e una serie di altre attività criminali”. Nonostante l’imposizione di sanzioni da parte del dipartimento del Tesoro americano, la rete secondo il giornale americano è “coinvolta in attività criminali, ha diffuso propaganda del governo cinese, promosso l’unificazione con Taiwan, mediato progetti per la Belt and Road Initiative – il progetto infrastrutturale da un trilione di dollari della Cina per costruire influenza globale – e fornito sicurezza ai funzionari cinesi all’estero come parte di una missione dichiarata per contribuire al ‘grande ringiovanimento della nazione cinese’”, ed è in continua espansione.
Nell’ultimo anno le operazioni di truffe online, traffico di esseri umani e riciclaggio di denaro simili a quelle di cui i membri di Hongmen sono stati accusati in Asia sono emerse anche in Africa, scrive il Washington Post, “con l’Uganda che emerge come una delle principali fonti della tratta degli esseri umani”, e dove ha aperto una stazione di polizia cinese d’oltremare, e il Sudafrica che cresce come centro per i reati finanziari. Nel marzo 2023, la polizia thailandese ha fatto irruzione nell’ufficio di Hongmen a Bangkok dopo che il presidente per gli Affari esteri dell’associazione, Bai Zhaohui, si era vantato in pubblico di condurre attività illecite nel paese. Due mesi dopo il mandato di arresto della polizia thailandese, Bai era già scappato dal paese e riapparso in Sudafrica con una nuova società. Nel 2024 ha partecipato a una conferenza sull’Africa a Pechino e a un evento con funzionari del Partito comunista cinese, poi secondo alcuni imprenditori cinesi si è recato a Dubai per discutere l’ingresso della rete nel settore dei casinò degli Emirati Arabi Uniti. Secondo il Washington Post è uno dei leader di un’associazione che ambisce a portare l’influenza del Partito comunista cinese all’estero.