“Guagliuncella” non ha nulla dello sgradevole lolitismo che andava di moda nella canzone, nel cinema e nel romanzo italiani degli anni Sessanta e Settanta. E’ una serenata a una ragazzina che sfreccia in bicicletta, ed è un brano musicalmente spigliato, esilarante, felice
Scusate il ritardo. Avrò letto, in questi giorni, mille ricordi di Goffredo Fofi, ma solo uno mi ha toccato il cuore. E’ quello di Nino D’Angelo: “Tu mi hai cambiato la vita vestendomi di una luce che ha oscurato tutto lo snobismo che la cultura italiana, senza conoscermi, mi aveva attaccato addosso”. Confesso, non sapevo nulla della storia di D’Angelo riabilitato da Fofi, ed è per me una ragione di gratitudine postuma. Leggo che per Fofi la scintilla è stata “Ciucculatina d’ ‘a ferrovia”; per me fu galeotta un’altra canzone, “Guagliuncella”, che scoprii un’estate guardando in tv “Un jeans e una maglietta”. Quando il film uscì era il 1983, e cominciava a farsi strada “La colegiala” di Rodolfo y su Tipica, portata in trionfo nel mondo dal trenino della pubblicità di Nescafé. Se la menziono è perché le due canzoni hanno lo stesso tema: una liceale noncurante, perfino un po’ strafottente, ammirata da un uomo più maturo di lei. Niente di insolito: il cinema, il romanzo e la canzone degli anni Sessanta e Settanta – in Italia più che altrove – sono stati un tripudio di lolitismo, forse perché la donna bambina era l’ultimo rifugio di una generazione di uomini che si sentiva minacciata dall’emancipazione femminile.
A rivisitare oggi quelle fantasie erotiche sulle minorenni è difficile sfuggire a un certo disagio. Ma la canzone di Nino D’Angelo – musicalmente così spigliata, così felice – era diversa. Non era il lubrico sogno di purezza del maschio spodestato, e neppure il richiamo di un rapace: a darle il tono era la schietta, generosa meraviglia di chi vede passare per le vie del mondo una creatura bella e inafferrabile. Ascoltatela, la serenata per questa ragazzina che sfreccia in bicicletta con i capelli che le coprono gli occhi, e che rischia di investire i passanti perché non sa usare i freni. Ascoltatela, e poi rileggete una vecchia poesia di Umberto Saba, “Il garzone con la carriola”. Non pretendo di gettare un ponte tra l’una e l’altra. Ma vi sfido a non sentire addosso un poco della stessa brezza, della stessa esilarante libertà.