Con l’inchiesta sui progetti urbanistici della città è tornato il “dagli all’untore”. Eppure Milano è molto di più: una città che ha sempre saputo coniugare sviluppo e legalità, dinamismo economico e inclusione sociale, innovazione e rigore. Per questo non è il momento di cercare colpevoli, ma di ritrovare un senso condiviso di responsabilità
Come un fiume carsico, in Italia riaffiora periodicamente una narrazione cupa e semplificata: quella della capitale corrotta, simbolo di un sistema infetto. È una visione che nel tempo abbiamo conosciuto, subìto e in parte interiorizzato. Oggi questa narrazione si affaccia nuovamente su Milano, capitale economica e internazionale del Paese. Lo fa attraverso un’inchiesta giudiziaria che riguarda il tema cruciale dell’urbanistica e dello sviluppo della città. Un’inchiesta che va seguita con rispetto e attenzione, come ogni iniziativa della magistratura. E valutata nella sua reale portata a compimento del percorso investigativo e processuale. Attorno a essa, però, si sta formando un clima che rischia di oscurare la complessità della realtà milanese. Un clima in cui la politica viene guardata con diffidenza, il profitto considerato sospetto, l’impresa vissuta con ambiguità. Un clima che tende a semplificare e generalizzare, mettendo in discussione l’integrità di chi contribuisce, ogni giorno, alla costruzione della città. Ricorda, proprio per la sua liturgia meneghina, quel “dagli all’untore” di manzoniana memoria. La giustizia giudicherà le persone, i cittadini con il loro voto giudicheranno il sistema politico.
Eppure Milano è molto di più. È la città che ha sempre saputo coniugare sviluppo e legalità, dinamismo economico e inclusione sociale, innovazione e rigore. È una città che ha fatto della collaborazione tra pubblico e privato un punto di forza e un modello riconosciuto ben oltre i confini nazionali. Certo, non è perfetta. Ma è animata da una tensione civica e da una cultura del fare che la rendono unica. Una città riformista per definizione.
In questa visione, la borghesia milanese ha storicamente svolto un ruolo fondamentale. Ha partecipato alla crescita della città con spirito imprenditoriale, senso del dovere e attenzione al bene comune. Ha costruito reti culturali, istituzioni sociali, modelli di sviluppo sostenibile e inclusivo. Attraverso la filantropia di grandi famiglie ha saputo, nella storia, dar vita a straordinarie iniziative culturali e sociali. E ancora oggi è molto presente, anche se spesso in modo più discreto, meno visibile.
Non è il momento di cercare colpevoli, ma di ritrovare un senso condiviso di responsabilità. Non si tratta di difendere un gruppo sociale, ma di riconoscere che esiste un patrimonio civico, culturale ed economico che può – e deve – contribuire a guidare Milano in una fase complessa. La borghesia milanese non ha mai preteso applausi, ha sempre preferito agire. E forse anche oggi, più che parlare, è il momento di continuare a lavorare. Ma con la consapevolezza che il silenzio può essere frainteso. Per questo è importante che tutte le energie vive della città – imprese, professionisti, dirigenti, creativi, innovatori – riaffermino, con sobrietà ma con fermezza, il loro impegno per una Milano trasparente, dinamica e coesa.
Non serve alzare la voce. Serve esserci. Con i propri valori, con il proprio lavoro, con la propria capacità di visione. Milano è la città del fare. E fare, oggi, significa anche tutelare ciò che è stato realizzato con serietà, migliorarlo con lucidità, e proiettarlo con fiducia verso il futuro. La borghesia milanese può ancora essere, come lo è sempre stata, una forza silenziosa ma decisiva per il progresso della città. Non per difendersi, ma per contribuire. Non per nostalgie del passato, ma per plasmare – insieme – il futuro.
Letizia Moratti è ex sindaco di Milano, europarlamentare di Forza Italia