Leone XIV ha parlato di “attacco”, quasi che la versione circa “l’errore di tiro” non abbia convinto neanche lui. Una frattura evidente con il governo israeliano e probabilmente più foriera di conseguenze rispetto al passato: le parole di Francesco sul “genocidio” potevano essere smentite con un post sui social accusando il Papa di sentimenti anti israeliani, mentre con l’americano Prevost l’operazione risulta più complicata
Roma. E’ destinato a lasciare tracce profonde quanto detto domenica dal Papa al termine dell’Angelus, quando ha parlato esplicitamente di “attacco dell’esercito israeliano contro la parrocchia cattolica della Sacra Famiglia a Gaza City”. Tra i primi atti dopo l’elezione, Leone XIV aveva inviato telegrammi a diversi esponenti di rilievo del mondo ebraico, invitandoli alla messa d’inizio pontificato. Un gesto che fu subito rilanciato dagli stessi rabbini che avevano ricevuto la missiva, riconoscendo un cambio di passo del Pontefice americano, dopo che sul declinare della stagione bergogliana i rapporti si erano incrinati. Non solo sul piano politico, come pure sarebbe comprensibile, ma anche su quello teologico. Diceva nei giorni scorsi al Foglio il teologo tedesco Gregor Maria Hoff, esperto di relazioni cattolico-ebraiche che “l’attacco terroristico di Hamas non è solo un atto politico: mira a distruggere la vita ebraica e pertanto interferisce sulle relazioni fra cattolici ed ebrei, poiché la Chiesa ha sottolineato l’importanza costitutiva dell’ebraismo per la Chiesa fin dal Concilio Vaticano II”. Sono cronaca le frasi di Francesco sul genocidio potenziale, mai dette direttamente ma fatte filtrare in udienze o in prefazioni a qualche libro. E ogni volta l’ambasciata israeliana protestava con post sui social, fino al punto da non mandare nessuno ai funerali del Papa, lo scorso aprile.
Con Leone la narrazione era cambiata, come rilevato subito da più parti: restava il dolore per Gaza e per i cristiani del medio oriente, mai però Prevost aveva chiamato in causa Israele né s’era azzardato a parlare di genocidio. Impresa complicata, considerate le pressioni evidenti intra ed extra ecclesia affinché facesse e dicesse di più. Lo stesso telegramma diffuso la mattina dell’attacco al complesso parrocchiale della Sacra Famiglia di Gaza era stato molto prudente, tanto che non pochi hanno citato le parole di Leone ricordando che ben altra vicinanza il suo predecessore aveva mostrato alla minoranza cattolica della Striscia, al punto da telefonare ogni sera al parroco Gabriel Romanelli, anche nei giorni del ricovero al Gemelli. Poi, però, dopo la telefonata del Papa con Benjamin Netanyahu (durata un’ora) e con il patriarca Pierbattista Pizzaballa, i toni dal Vaticano si sono fatti più duri. Ha iniziato il cardinale segretario di stato, uomo prudentissimo e ben consapevole del valore delle parole usate e del loro effetto: intervistato dal Tg2 Post, Parolin ha messo in dubbio che l’attacco alla parrocchia della Sacra Famiglia sia stato un errore – “E’ lecito dubitarne” –, un’enormità. Di fatto, la Santa Sede ritiene plausibile che l’Idf abbia volontariamente colpito l’unica chiesa cattolica di Gaza. Un po’ come fanno i terroristi fulani in Nigeria, che nottetempo danno fuoco alle chiese cristiane. Qualche osservatore ha allora ipotizzato una doppia linea vaticana: da una parte il Pontefice prudente, dall’altra il segretario di stato pronto a partire in lancia di resta contro Israele. La strategia del bastone e della carota, con compiti chiari e spartiti. Una ricostruzione che appare inverosimile, anche perché per mesi da parte dei settori più vicini alla causa palestinese (anche all’interno della Chiesa) si sottolineava quanto fosse troppo silenziosa e “diplomatica” l’azione della Segreteria di stato. Insomma, Parolin era considerato morbido anche rispetto agli assalti social dell’ambasciata israeliana. Un caso su tutti: un anno e mezzo fa, quando due donne morirono sempre negli ambienti della chiesa della Sacra famiglia a Gaza colpite da un cecchino israeliano, Roma ci mise parecchio per pronunciarsi sul fatto. E quando lo fece, non tremarono di certo i muri del Palazzo apostolico. La conferma che non esistono doppi binari la si è avuta domenica, all’Angelus, quando appunto il Papa stesso ha dedicato un lungo passaggio a quanto accaduto giovedì scorso. “Esprimo il mio profondo dolore per l’attacco dell’esercito israeliano contro la parrocchia cattolica della Sacra Famiglia in Gaza City; come sapete giovedì scorso ha causato la morte di tre cristiani e il grave ferimento di altri. Prego per le vittime, Saad Issa Kostandi Salameh, Foumia Issa Latif Ayyad, Najwa Ibrahim Latif Abu Daoud, e sono particolarmente vicino ai loro famigliari e a tutti i parrocchiani. Tale atto, purtroppo, si aggiunge ai continui attacchi militari contro la popolazione civile e i luoghi di culto a Gaza. Chiedo nuovamente che si fermi subito la barbarie della guerra e che si raggiunga una risoluzione pacifica del conflitto!”. Non solo, Leone ha anche chiesto di “osservare il diritto umanitario” e di “rispettare l’obbligo di tutela dei civili, nonché il divieto di punizione collettiva, di uso indiscriminato della forza e di spostamento forzato della popolazione”. Infine, “ai nostri amati cristiani mediorientali dico: sono vicino alla vostra sensazione di poter fare poco davanti a questa situazione così drammatica. Siete nel cuore del Papa e di tutta la Chiesa. Grazie per la vostra testimonianza di fede”. Leone XIV ha parlato di “attacco”, quasi che la versione circa “l’errore di tiro” non abbia convinto neanche lui. Una frattura evidente con il governo israeliano e probabilmente più foriera di conseguenze rispetto al passato: le parole di Francesco sul “genocidio” potevano essere smentite con un post sui social accusando il Papa di sentimenti anti israeliani – o peggio, Parolin dovette addirittura dire che il Papa “non è antisemita” (novembre 2024) – mentre con l’americano Prevost l’operazione risulta più complicata. Ieri mattina, Leone XIV ha ricevuto una telefonata da Abu Mazen, al quale ha ripetuto i punti essenziali della linea vaticana: “Pieno rispetto del diritto internazionale umanitario”, “obbligo di proteggere i civili e i luoghi sacri” e “divieto dell’uso indiscriminato della forza e del trasferimento forzato della popolazione”.