Chi chiedeva compromessi oggi dovrebbe guardare Kharkiv in fiamme. Questo è il prezzo della “moderazione”: 728 droni in una notte
Ogni volta che Vladimir Putin intensifica un attacco, ogni volta che un’infrastruttura civile ucraina viene colpita, ogni volta che un’arma a lungo raggio viene usata per terrorizzare le città, bisognerebbe inchiodare al muro, uno per uno, tutti quelli che negli ultimi due anni hanno chiesto “di abbassare i toni”, “di non umiliare la Russia”, “di cercare un compromesso”. Bene. Questo è il compromesso che Putin è disposto a concedere: 728 droni kamikaze Shahed in una sola notte. Un record mondiale di saturazione. Il triplo dei colpi andati a segno rispetto a sei mesi fa. Missili Iskander, Kinzhal, e la sistematica erosione delle difese aeree ucraine. Questo è ciò che succede quando ci si illude che “avvicinarsi alla pace” significhi concedere al carnefice il beneficio del dubbio. La Russia non sta cercando la pace. Sta cercando il logoramento. E lo fa con strumenti rudimentali ma efficaci: droni di fabbricazione iraniana, adattati con motori turbo, lanciati in sciami per confondere radar, saturare batterie di difesa, spingere al limite una rete già provata. Non è più guerra ad alta tecnologia. E’ guerra ad alta insistenza. E’ il bombardamento come linguaggio politico. Eppure, c’è ancora chi parla di trattative, di negoziati, di “porte da non chiudere”. C’è chi, di fronte a un’aggressione così sistematica, così pianificata, così fredda, riesce ancora a evocare la diplomazia come se bastasse sussurrare la parola magica per fermare le esplosioni. Ma la diplomazia non è un esercizio di buone maniere. E’ un equilibrio di forze. E oggi quella forza, se si abbassa la guardia, ce l’ha solo Mosca.
Ogni drone che arriva a destinazione è una risposta concreta a chi chiedeva di “fermarsi prima”, di “non mandare più armi”, di “non provocare”. Provocare? Sono i tetti delle case di Kharkiv che vengono provocati, ogni notte, dai gerani volanti – il nome con cui i russi battezzano, con tipica ironia sovietica, i loro Shahed: Geran. L’arma che fiorisce in guerra. Il paradosso è che mentre Mosca affina i suoi sciami, l’occidente arranca per trovare nuovi Patriot, si divide sulla produzione industriale di munizioni, e – peggio ancora – continua a tollerare dentro di sé voci che parlano di “stanchezza bellica”. Di “equivicinanza”. Di “realismo geopolitico”. Realismo? Il vero realismo è che se non si aiuta Kyiv a difendersi, Mosca continuerà a colpire. Il vero realismo è che i droni iraniani non si fermano per le dichiarazioni dell’Onu. Il vero realismo è che Putin capisce solo due lingue: la forza e la paura. E se capisce che abbiamo paura, userà tutta la sua forza. L’unico motivo per cui Kyiv ancora resiste non è la retorica, non è la pietà, non è l’indignazione. E’ la capacità tecnica di abbattere oggetti volanti. L’unico motivo per cui non c’è già una nuova Bucha ogni settimana è che gli ucraini hanno armi, radar, sistemi elettronici, cannoni tedeschi, droni americani. E anche quelli stanno finendo. Chi chiede la pace abbassando le difese è come chi prova a domare un incendio soffiandoci sopra. Il risultato è noto: brucia tutto. Bruciano le città, i civili, le centrali elettriche, gli ospedali, i corridoi umanitari. E poi, quando il fuoco arriva qui da noi, sarà troppo tardi per spiegare che “non volevamo provocarlo”.